martedì 31 maggio 2011

La caprese metafisica

Un giro in bicicletta in una Milano metafisica, che sembra un quadro di De Chirico: strade dritte e vuote, forme geometriche contro un cielo irreale, ombre nette che tagliano il terreno rosso. Sono con Co. e c'è un silenzio inquietante. Poi ci ritroviamo a casa di qualcuno, io e lei, i miei e i suoi genitori. Strana adunata. E la cosa ancora più strana è che siamo lì da ore perché le nostre famiglie si stanno facendo leggere il futuro da un tizio non meglio identificato. A quanto pare, la cosa è lunga e delicata perché non si può parlare, no si può sbuffare e ovviamente, non si può andare via. Quando sento che potrei morire di inedia incollata a quella sedia, finalmente succede qualcosa. Qualcuno dice che è ora di andare a cena e una porta si apre alla nostra sinistra. Ci ritroviamo su un molo e dal molo su un catamarano. Nello spazio vuoto tra uno scafo e l'altro, al posto della rete di protezione, c'è una tovaglia apparecchiata, con bicchieri di cristallo e piatti di porcellana e vino e tovaglioli di lino. Potremo cenare sotto le stelle sospesi tra acqua e vento, mentre il catamarano scivola silenzioso verso il largo. 
All'improvviso ci ritroviamo su una spiaggia. È giorno e ci sono altre persone. Guardo l'acqua e mi accorgo che non si tratta di un posto normale. Perchè in quest'acqua la gente pesca mozzarelle di bufala. Le vedo fluttuare qua e là come piccole meduse di latte. Basta allungare una mano e raccoglierne una. Se trovassi dei pomodori tra le dune, e un gabbiano mi passasse una foglia di basilico, si potrebbe fare una caprese.  


Dreamed by: Monsters.

giovedì 26 maggio 2011

La piccionaia.

'Sti passeri fanno un gran casino. Non mi lasciano proprio dormire. Questa notte mi sveglio ogni dieci minuti per colpa del loro continuo ciarlare, infilo la testa sotto al cuscino ma mi danno veramente il tormento. Poi accade il miracolo. Sarà il sonno, sarà il caldo, ma riesco a capire cosa si dicono.
Si, ecco, si stanno lamentando. Si lamentano perché... hanno fame. Hanno molta fame. Sono molto, molto arrabbiati, ecco perché cinguettano così forte. Sono arrabbiati perché non c'è più niente da mangiare in giro. Niente più mollichine di pane: nessuno sbriciola più niente in giro. Da quando è uscita una nuova varietà d'olio tutti mangiano tutto il pane fino all'ultima briciola e non gliene lasciano neanche un pezzetto.
I passeri sono arabbiati, checcavolo, e c'hanno pure ragione. Il loro comizio sui fili del telefono sembra non avere fine ma io mi associo alla causa dall'altra parte delle tapparelle semichiuse.
Il primo fascio di luce che le attraversa mi fa pensare che forse ho sognato.
Il secondo, che ho sognato una splendida campagna pubblicitaria.
Il terzo, che non è poi così splendida. Cavolo.

Dreamed by: Co.

mercoledì 25 maggio 2011

La Fame, di X-Senefrega

In un vecchio motel una televisione d’epoca mi obbliga alla visione di un genere per cui ho un rigetto. In un paese sperduto dell’entroterra peninsulare sta passando Lele. Le strade sono polverose e abbandonate, puzzano di terra, di rancido, di negligenza. Le porte di legno ingrigito dal tempo sono sbarrate. Non c’è anima viva. Nel suo cammino solitario Lele incontra un gruppo di adolescenti cenciosi. Occhi storti, denti sgranati, pelle sporca. Gli vanno incontro e lo circondano. Ha acceso in loro l’istinto più brutale. La fame. L’alito dei cani, pronti a cibarsi degli avanzi dei loro migliori amici, infetta l’aria invocando il cannibalismo. Il gruppetto inizia a molestare Lele nella speranza che il suo vigore sfiorisca sfiancato dalle insistenti avances. Lo toccano, lo strattonano, ma non hanno la forza di afferrarlo definitivamente per cibarsene. Lele sbraccia, spartisce pugni e sputi in segno di disprezzo per allontanarli. Ma loro non mollano, anche se non hanno la forza per correre gli stanno alle calcagna barcollandogli addosso e impedendogli la fuga. Lele non riesce a divincolarsi da questo cerchio infernale, la sua anima è solo un dessert. Ferma in un vicolo c’è una bicicletta rossa da donna. Dea ex machina. La prende al volo lasciandoseli alle spalle. Ora bisogna scappare dai carnefici, bisogna lasciare il paese. Purtroppo si deve passare attraverso una galleria privata a forma di imbuto, gli ingressi sono contrapposti agli apici. Un traforo di cemento a forma di U. Qualunque sia il tuo ingresso, l’uscita va scalata energicamente a causa della pendenza. L’ingresso è spalancato perché qualcuno è appena entrato precedendo Lele che si lancia in una discesa forsennata per non patire troppo la ripida salita. Ma l’uscita è già sbarrata. Da una feritoia scorge una gang dietro le porte di ferro. Sono grandi, grossi, virili, motorizzati, professionisti della caccia all’uomo. È la serie A dell'antropofagia. Stanno cercando la chiave di ingresso e se lo prendono è la fine. Lele fa spasmodicamente dietro-front nella speranza di potersi nascondere in un anfratto, ma il tunnel è deserto. Non ha angoli, rientranze o colonne dietro cui rannicchiarsi. Stavolta la rincorsa non gli è bastata, deve prendere a braccio la bicicletta per non privarsene in seguito. In cima alla salita, sulla destra c'è uno scorri mano a cui aggrapparsi per non scivolare giù e una presa d’aria larga appena un metro quadrato. Il cellophane impedisce di testarne l’ampiezza, dilaniarlo gli toglierà altri secondi utili alla salvezza. La gang sta sferragliando per aprire il portone e il rumore si fa sempre più forte. Con una piccola manovra Lele riesce a spingere fuori la bicicletta forzandone il telaio. Il portone si spalanca, la gang si prepara all’ingresso.


dreamed by: X-Senefrega.
Il suo blog: E chi se ne frega

martedì 24 maggio 2011

La gita al lago, di Giulia.

E' una bella giornata primaverile. Si va a fare una gita nei pressi di un lago, a bordo di un pullman. Ci sono io e un tot di adulti che accompagniamo i nostri figli di circa 5 o 6 anni. L'autista del pullman si ferma, è il mio collega ciccione, si alza e fa un annuncio ai pargoli "mi raccomando, una sosta breve e fate attenzione al lago, potreste cadere.." visibilmente preoccupato. Apre le porte. Scende solo mio figlio. Un tipetto antipatico e un sacco irriverente nei modi, ma estremamente lord negli abiti. Si avvicina alla riva e fa finta di fare pipì. Si gira verso di me e con fare sfacciatamente beffardo mi sorride e si butta nel lago. Proprio l'opposto di quanto gli avevamo detto. Non riemerge. Io pacata e con una sensazione di serafica rassegnazione dico "aiuto. aiuto..." a un paio di sommozzatori che sono in acqua, assieme ad altri bagnanti. Non mi sentono, lo dico un po' più forte, ma senza allarmismo. Lo salvano e me lo depositano sulla riva. Sta benissimo, ha ancora il ghigno beffardo addosso. Quand'ecco che arriva mio marito. Uno spilungone insulso, magro, vestito bene, con un inspiegabile sorriso idiota sul volto, ed esclama tutto entusiasta "dai dai che ora si fa la pappa! cosa preferisci? petto o coscia?" rivolgendosi alla piccola canaglia. Io lo guardo e dico "abbi pazienza, ma dopo questa bravata è già tanto che gli diamo da mangiare, non credi?"...

Dreamed by: Giulia.

L'albergo zombie.

Oh, finalmente in vacanza.
Abbiamo trovato questo alberghetto veramente carino: un grande giardino con tanti piccoli bungalow intorno.
Il tramonto splende sul nostro arrivo, sulle nostre spalle pesanti che lasciano scivolare a terra le valigie, sulle nostre fronti sudate che finalmente trovano respiro, sui nostri sospiri di approvazione.
Nei nostri vestiti migliori ci avviamo al ristorante e torniamo finalmente sazi e contenti. Pronti per la notte, per un lungo sonno, per un lungo sogno. Solo che.
Quando scompare l'ultimo raggio di sole e sento ruotare l'ultima mandata della chiave nella toppa comincia l'incubo. Rumori. Gente che cerca di entrare in  camera. Guardo fuori dalla finestra: zombie. Siamo invasi, siamo impotenti. Qualcuno, da qualche parte, spara con un grosso fucile a pompa e li mette in fuga.
E' finita, ma non troppo. Il mattino ci coglie stanchi e sudati, ancora spaventati: l'unica preoccupazione è prepararsi per l'attacco di stanotte. Fucili, travi di legno, chiodi. La stanza viene tappezzata di ogni possibile arma: questi cosi non muoiono mai, possiamo solo sperare di farli fuggire.
Notte dopo notte fronteggiamo con coraggio quest'orda di non morti che si fa sempre più insistente, più affamata, più violenta. le loro braccia verdi e puzzolenti trapassano le finestre, i vetri rotti, i loro piedi pesanti sfondano il legno delle porte.
Questa è l'ultima notte. Ieri sono quasi entrati. Siamo appollaiati sugli scaffali dove un tempo ci sarebbero stati lampade e vasi di fiori; ora ci siamo noi in una trincea improvvisata, con i fucili in mano e il ticchiettare dei minuti nelle orecchie, chiedendoci da quale parte comincerà l'offensiva questa volta.
Se sopravviveremo potremo tornare a casa, all'alba.
Che vacanza di merda, comunque.

Dreamed by: Co.

lunedì 23 maggio 2011

La Monster nascosta.

Ho comprato la Monster.
Nera. Bella, lucida e splendente. Mia, mia, tutta mia.
Ordine telefonico, trac. Pagamento via home banking, trac. Coordinate, assicurazione, trac.
Non rimane che  andare a prenderla.
Carico Monsters in macchina e ci avventuriamo in un luogo sperduto a prendere la mia moto: Monsters guiderà la mia auto al ritorno. Che questo posto mi sembra di averlo già visto in verità.
E infatti è la casa in montagna di un nostro amico. Guardo il biglietto dove ho scritto l'indirizzo, non è possibile. E invece si, è proprio qui. La mia moto è in fondo al suo giardino, e non ci sarebbe nessun problema se lui proprio in quel momento non stesse dando una festa con centinaia di persone che mi ostruiscono il passaggio.
Mi districo in quel groviglio di mani, bocche, voci, costolette di maiale, bicchieri di vino rosso, labbra cobalto, risate troppo forti, ballerine ai piedi, gonne a balze, tavoli di legno, porte verso l'interno, porte verso l'esterno, zanzariere, grappini, amari. Lui manco l'ho visto in mezzo a tutto sto marasma.
Ma lei sì. Eccola lì. E' mia. Mi ha aspettato fino a ora.
La prendo gentilmente per il manubrio e la accompagno fuori. Piano piano.
E proprio sul cancello, mentre sto uscendo, c'è il padrone di casa.
Gli dico, bella eh.
E lui la guarda e mi dice, pfui, bella un cavolo. E' una moto da donna.
Ci rimango male anche se, dopotutto, poteva aspettarselo: anche in sogno sono una donna, e questo dato di fatto mi risulta tuttora difficile da cambiare.
E comunque poteva anche evitare di farmi fare tutta sta fatica per prendermi la mia Monster nascosta, ecco.

Dreamed by: Co.

mercoledì 18 maggio 2011

L'alopecia.

Ho deciso. Torno a casa.
Imballo tutte le mie valigie e torno a vivere dai miei.
Arrivo a Bologna in un mattino di sole. Ray Ban Wayfarer e tacchi alti. Decido di andare a mangiare un gelato in centro, nella mia gelateria preferita, quella di cui non ricordo mai il nome.
Seduta su una panchina illuminata mi fermo a guardare il via vai delle persone della mia città, sentendomi un'estranea ma guardando tutto con tenerezza. In fondo appartengo a questo, penso. Chissà se mi abituerò mai all'idea.
All'improvviso spunta un'amica del liceo che non vedevo da secoli. E' sempre uguale, il culo un po' grosso, i pantaloni della tuta che si portano con dignità solo in questo paesone di campagna, le scarpe da corsa. E un cane. Ci fermiamo a parlare e io non le dico neanche degli anni passati altrove, tanto non avrebbe senso.
Lei invece mi racconta tantissime cose, mi parla di sua madre, della sua famiglia. E di quel cagnetto pulcioso che si porta appresso.
E' speciale, dice lei.
Perché? Chiedo io.
Perché ha l'alopecia, dice lei.
Lo guardo: effettivamente, oltre a essere molto brutto, sembra anche molto malato. Ciuffi di peli gli cadono da tutte le parti lasciando scoperte intere sezioni di pelle.
E' un cane decisamente sfigato, penso. Però sembra felice lo stesso, ed è questo, in fondo, quello che conta, in questa mattina piena di sole nella mia casa ritrovata.

Dreamed by: Co

The wilderness

 Un mercoledì mattina qualunque, a Milano. Mi sveglio e mentalmente comincio a pensare a tutte le azioni meccaniche che mi tocca svolgere prima di arrivare in agenzia. Mangiare biscotto, lavare denti, indossare biancheria pulita, prendere chiavi macchina. Poi però decido di fare una cosa diversa, un dirottamento sul mio immutabile binario mattutino.  E così, in un attimo, sono su una spiaggia. Mi tolgo le scarpe e sento la sabbia umida sotto i piedi. Bello. Senza pensare comincio a spogliarmi, mollo pezzi di abbigliamento sul bagnasciuga, poi cerco di sistemarli e piegarli un po' meglio, dopo dovrò essere presentabile, e invece il vento li scuote e li riempie di sabbia e io penso "ma sì, chi se ne frega". Entro in acqua ed è una sensazione che mi mancava. Non potrei bagnarmi i capelli perché dopo devo andare in agenzia, e invece gli schizzi mi arrivano ovunque e io penso "ma sì, chi se ne frega".  Lo stesso destino di menefreghismo tocca ai fogli che mi ritrovo in mano: email e appunti che finiscono letteralmente ai pesci. 
Poi esco dall'acqua e sono felice. Mi viene in mente quella parola inglese che non ha una traduzione esatta in italiano. The wilderness. Con orgoglio, voglio portare la mia "selvatichezza" tra i corridoi della Milano che produce.  Bagnata e scombinata, indosserò i vestiti stropicciati sulla pelle salata, infilerò i piedi insabbiati nelle ballerine da ragazza per bene e con gusto ascolterò il rumore fradicio dei miei passi mentre torno a fare il mio dovere. 

Dreamed by: Monsters