mercoledì 25 gennaio 2012

Il caschetto improvvisato.

Quindi vado dal parrucchiere, perché la chioma è diventata veramente ingestibile. Se provo a tirare su i capelli, viene fuori una cresta da velociraptor.

Ma io non voglio essere un velociraptor, cazzo.

Mi rivolgo al mio parrucchiere di fiducia, il parrucchiere delle dive, quello che ha preso il mio crapino come un banco di sperimentazioni per i concorrenti di X-Factor.
Dalla circonvallazione di Milano si è spostato in uno stabile in stile Old Milano: una scala lunga e ripida mi porta direttamente al suo appartamento, un open space convertito a studio bipiano, arredato con un gusto Art Nouveau: tappeti sgargianti, tende di broccato, tavolini rococò.

Bypasso questa frociaggine e mi siedo sulla poltrona mentre addetti ai capelli mi svolazzano intorno come in un musical. Un paio di sforbiciate e sono pronta a sfoggiare il mio nuovo look.
Solo che appena scendo in strada mi rendo conto dello scempio che il pazzo ha fatto: invece di tagliarmi i capelli, il criminale li ha allungati in un caschetto platino very bon ton. Pazzo! Sono l'unica donna al mondo che paga per tagliare e questo allunga?
Tornata a casa medito sul da farsi e provo a dormirci su.

La mattina dopo, decisa, torno dal responsabile di questa scelta inconsulta che mi fa assomigliare più a mia madre che a me stessa: ma l'appartamento è vuoto, nessun parrucchiere, nessun musical.
Devo tenermi questo caschetto e andare in giro come la Caterina Caselli 2.0.

Ma io voglio essere un velociraptor, cazzo.

Dreamed by: Co.

mercoledì 18 gennaio 2012

Lontano da dove.

Sto traslocando. Di nuovo. Anzi, a giudicare dal mio stato psico-fisico ho appena finito di traslocare. Mi sento addosso il peso di tutte le scatole che ho trasportato, di tutta una vita impacchettata alla rinfusa, ancora una volta, e poi incastrata con finta razionalità tra scaffali e cassetti nuovi.
Dicono che il trasloco sia nella lista delle esperienze più traumatiche della vita, però la soddisfazione che si prova quando anche l'ultimo calzino è stato scaraventato a caso sotto il letto ti ripaga di ogni vertebra dolorante e di ogni imprecazione sibilata a denti stretti.
Beh, eccomi. Questo è il momento in cui mi guardo intorno e immagino il futuro nella nuova tana, sotto forma di trailer da commedia americana, con tanto di colonna sonora e scene a rallenty. Però, ovviamente, c'è qualcosa che non va. Più mi guardo intorno più mi accorgo di dettagli inquietanti, di un disturbo di fondo che vive al di là del disordine e degli scatoloni ancora affastellati in giro. Macchie umide sui muri. Cavi elettrici a vista. Pezzi di intonaco sul pavimento. E il pavimento che non è affatto un pavimento, ma un pietrisco irregolare e polveroso, di quelli che ti fanno diventare bianche le scarpe quando ci cammini su. Nella mia testa scatta il piano d'emergenza: mi dico che se sono qui avrò sicuramente valutato i pro e i contro e avrò deciso che ne valeva la pena. Al momento la parte dei pro mi sfugge ma ora ci penso un secondo e vedrai che mi viene in mente. E mentre ci penso lo vedo. Il cielo, limpido e pulito sopra la mia testa. I sogni di solito permettono di godersi certe cose senza farsi troppe domande, ma stavolta la poesia passa quasi subito. Il fatto è che c'è un buco enorme nel soffitto. E contro questo cielo che mi piomba in casa, cominciano a comparire le braccia metalliche di alcune ruspe, prese a smontare qualcosa poco lontano da qui. 
In fine, ecco arrivare il ricordo della casa che ho lasciato per venire qui, una mansardina piccola e scomoda, che a periodi ho odiato e amato ma che in confronto a dove sono ora è un sogno che si sbriciola nella polvere del mio nuovo pavimento. 
Ecco, io e la mia mania di prendere e smantellare la mia esistenza per ricostruirla ovunque, purché sia lontano. Lontano da dove, poi, non l'ho ancora capito.

Dreamed by: Monsters

mercoledì 11 gennaio 2012

L'aereo che non c'era, di X-senefrega.

Su questo aereo le file per i passeggeri non sono 6, ma appena la metà. 2 a destra e solo 1 a sinistra. Il velivolo è equipaggiato in maniera essenziale, nessuna rifinitura, siamo a contatto con la lamiera del telaio. Insospettito mi dirigo in cabina di pilotaggio. Non c'è neanche questa. Il pilota siede in un angolo su una sedia di ferro da arena estiva, come un qualsiasi autista di autobus. E a guardare bene non c'è neanche il copilota. E se si dovesse sentire male? Come leggendomi nel pensiero il pilota cerca di rassicurami indicandomi l'ala sinistra, facendomi notare che è nuova. È stata appena cambiata ed è verde bottiglia. Ondeggia al vento come carta velina e ha la consistenza dei giocattoli in plastica Made in China di pessima fattura. L'aereo si avvia su una pista che curva a gomito dietro un palazzone di cemento grezzo prospiciente su un mare nero. Se l'avessimo presa più velocemente saremmo sprofondati a testa in giù. Ma in realtà non decolleremo su questo velivolo. Ce n'è un altro che ci aspetta a bordo pista, in bilico come a bordo vasca. Voleremo con un golf caddy alato. La stiva non è altro che uno zainetto di plastica trasparente già mezzo pieno. E pensare che l'ultima volta mi ero lamentato perché il nostro canadair di linea atterrava in un sottopassaggio in mezzo all'oceano.


Dreamed by: X-senefrega.
Il suo blog: E chi se ne frega

martedì 10 gennaio 2012

Il padre onnipresente.

Cammino per le strade di Londra con le mie flipflops ai piedi e un paio di vecchi bermuda sdruciti.
Sembro la figlia dell'asciugamano: così sciatta e poco curata non lo sono mai stata. Eppure sono felice e radiosa, e ogni passo è sul cammino della scoperta del mondo, anziché sui marciapiedi.

All'improvviso mi si para davanti un ragazzo con cui ho avuto una storia anni fa. E' bello come il giorno che l'ho visto e il suo accento di Nottingham mi seduce come quella sera. Con un sorriso mi invita a bere una birra in un locale che conosce, lì vicino: saltiamo un muretto e ci troviamo seduti all'interno di un tipico pub inglese, con una bella pinta a testa.
Ci scoliamo il boccale in un fiato mentre ci raccontiamo i principali avvenimenti degli ultimi anni e all'improvviso, senza preavviso e premeditazione, nel modo più naturale che ci sia, il biondo albionico si avvicina e mi bacia con una lentezza da togliere il fiato. Restiamo così, incollati per il respiro, finché qualcosa non mi colpisce sulla spalla.

Apro gli occhi. Mi giro. Mio padre è rimasto seduto dietro di noi a guardarci limonare per tutto questo tempo. Che dire? Nulla, comincia lui.
"Ma ti rendi conto che il locale è chiuso?"
E' vero: mi guardo intorno e le serrande sono abbassate. Il personale mangia scodelle di sausage and mash seduto per terra. Avessero i popcorn, non dubiterei che anche loro si sono goduti lo spettacolo.
"Ma pensa te, cosa mi tocca vedere...."
Eh papà, magari la prossima volta non te ne resti lì impalato come un baccalà.
"Dai che fai tardi. Se non sei fuori in un secondo ti lascio qui."
Ah si, dove dobbiamo andare? Fretta batte curiosità uno a zero: mi fiondo fuori come una scheggia, omettendo di chiedere al Chris Martin dei poveri come la mettiamo con sta storia che abbiamo limonato e lui, se non erro, ha una fidanzata.

Corro come una matta ma non arrivo in tempo: papà mi ha mollato da sola sul marciapiede. Non mi resta che tornare a casa, nel mio quartiere popolare, in quella topaia al settimo piano dove vivo e dove, a sorpresa, crede di vivere anche una signora di 80 anni completamente pazza, dalla chioma argentea cotonata, che usa il mio apparecchio telefonico per dire a tutti che si chiama Lily.
Rubo l'apparecchio e telefono a mio padre. Risponde mia madre. Mento spudoratamente:
"Mamma, non è che sono arrivata in ritardo, è che ho trovato una pazza in casa e non riesco a sbarazzarmene."
"Non ti preoccupare amore. Chiama l'istituto di igiene mentale, te la portano via loro. Ci vediamo dopo."

Mi spiace Lily. Di pazzi, stanotte, ne ho visti abbastanza.
Ti va un birra mentre aspettiamo?

Dreamed by: Co.

lunedì 9 gennaio 2012

La metamorfosi incontrollata.

Mi alzo dal letto con un balzo. Un dolore totalizzante alle dita dei piedi mi ha tormentato tutta la notte. In un bagno di sudore salto in piedi e guardo giù: Cristo, i miei piedi non hanno più le unghie. Cazzo.

Corro in bagno per cercare qualcosa, qualsiasi cosa, come se un'Aspirina o un Oki o una spruzzata di Cif potessero cambiare le cose, e mi accorgo della mia immagine nello specchio: ho i capelli lunghi, lunghissimi, color biondo platino. Per una mora dalla nascita e coi capelli corti per scelta è uno smacco furioso.

Prendo le forbici e comincio a tagliare forsennatamente ma niente, le chiome continuano a crescere più forti e più veloci che mai.

I piedi non mi importano più, ora guardo le mie mani, la pelle è tesa e uniforme come non lo è mai stata, come quella di una bambola. Sono una bambola. Cerco il telefono disperatamente e chiunque ci sia all'altro capo sente un urlo disperato: Aiuto! Mi sto trasformando geneticamente in una Barbie!


Quello che per una teenager americana media e una Milanese comune di qualsiasi età è uno sogno proibito è appena diventato un incubo realistico e senza senso.
E dall'altra parte del filo non arriva nessuna consolazione, solo una consapevolezza bastarda:
Se non puoi controllare la trasformazione, lasciala andare.

Pazienza per i capelli, ma le unghie dei piedi un po' mi mancheranno.

Dreamed by: Co.

giovedì 5 gennaio 2012

Il progress di mezzanotte.


Notte di capodanno. Che noia. Mi tocca fare quella che si carica di aspettative, monta su il sorrisone delle feste, sale sul tacco dodici e va al solito festino in cui tutti si divertono ad ogni costo. Vorranno riempirmi di lenticchie e uva, perché porta bene, porta soldi, porta benessere.  Forse, visto come vanno le cose nel mondo, porta solo sfiga.
Ma non voglio fare la snob. Se innaffio il tutto con copiose secchiate di vodka, forse posso farcela.
Così sono pronta, mi fanno già male i piedi su questi trampoli mortali, ma va bene così. Sto per uscire e in fondo a me stessa, ma proprio in fondo, continuo a nutrire la silenziosa speranza che accada qualcosa di inevitabile che mandi a monte i capodanni di tutti, così la finiamo con questa storia che bisogna divertirsi per forza. Un asteroide. Una nave aliena. Un blackout globale. Un attacco di sonno collettivo. E invece no. Arriva solo una telefonata. È l’agenzia. Pensa te.
Qualcuno dall’altra parte del telefono dice “progress”, come accade ogni lunedì mattina. E il lunedì mattina è già un’impresa titanica strappare le persone dalle macchinette del caffè, costringerle a spegnere la sigaretta, aspettare quello che è andato a fare pipì e l’altra che non mette giù il telefono. Figuriamoci alle 11 del 31 dicembre, quando siamo tutti sparsi in giro per le nostre vite.
E invece, miracolosamente in un attimo ci siamo tutti. Sto entrando in sala riunioni nel mio ufficio di Milano, sempre sui miei tacchi spropositati e sì, lo ammetto, con un bicchiere di vodka orange in mano. Vedo arrivare gli altri, anche loro teletrasportati da chissà dove, qualcuno non ha neanche avuto tempo di mettere giù la fetta di panettone. Si lamentano più o meno tutti di questa scocciatura inutile, in quel modo particolare che ha ciascuno di loro e che conosco a memoria. Un’altra strana fissazione del capo, li sento dire. Esatto, il capo. Che non c’è. E senza di lui non possiamo cominciare.
Così, tra avanzi mollati sul tavolo e brindisi improvvisati senza troppa convinzione, cominciamo a capire che la mezzanotte ci troverà qui, intorno alla’unica tavola dove nessuno si sarebbe voluto trovare. E con persone che non si è scelto. Eppure queste, che io lo voglia o no, sono le persone della mia vita. Quelle con cui passo più tempo al mondo, ogni giorno, più dei miei amici, molto più del mio fidanzato, infinitamente più della mia famiglia. Non è così sbagliato, trovarmi con loro ora.
Mi scappa un po’ da ridere.  Alla fine, era quello che volevo. Ho invocato il cataclisma e ora mi becco il progress di capodanno. Ringrazio il mio subconscio per la sua incredibile ironia.

Dreamed by: Monsters