martedì 24 aprile 2012

L'alieno poliposo.

Che poi, uno dice, la storia è sempre quella.
Gli alieni invadono la terra, rapiscono qualche esemplare, la stessa storia di esperimenti scientifici su corpi umani, qualche sparaflashata per dimenticare tutto, e nel frattempo puf, la terra sparisce dal planisfero della galassia.
Uno dice, stessa storia. Si, ma quando ci sei in mezzo tu, permettete, è un po' diverso.

Io qui con gli alieni non ci sto mica tanto bene. Sono viola, viscidi e sembrano dei grandi poliponi sudati. Grandi, giganteschi poliponi. A dire la verità hanno tutti colori diversi, ma io ne vedo sempre solo uno, per questo penso che siano tutti viola.
E' un alienone crudelissimo. Non solo ha fatto su di me esperimenti raccapriccianti, ma mi ha anche nominato capo esperimento: il mio compito è coordinare gli esperimenti sugli altri umani.
Quelli rimasti vivi, si intende.

Ora, quelli si lamentano e si lamenta pure polipone: gli uni vorrebbero smetterla con queste iniezioni, l'altro dice che battiamo la fiacca. In un batter d'occhio mi trasformo in una specie di sindacalista della materia oscura, e vado dal mio caro violoncello spaziale a cantargliene quattro.

Senonché il grande mostro se ne sta alla finestra a guardare quell'angolo di cielo in cui doveva esserci la Terra, e guarda caso non c'è più.
Ma porca Eva. Non puoi distrarti un attimo che ti fanno fuori il pianeta.
Sono ancora più incazzata. E qui segue il dialogo tra me e viscidone intergalattico.

"Hey, tu. Ma come cazzo ti è venuto in mente di farmi saltare il pianeta?"
"Lo sapevi che sarebbe successo. Io ti ho salvato, e ti ho dato anche delle responsabilità."
"Si polipone, ma tu non capisci: a me manca casa. Rivoglio il mio pianeta!"
"Faceva schifo e lo sai."
"Hai ragione: era pieno di stronzi. Ma c'erano anche delle cose belle sopra."
"Fammi un esempio"
"Il mare quando piove, ad esempio. Il tramonto in piscina con un bicchiere di vino in mano. I dischi degli Oasis. Tornare a casa dalla mamma e trovare il frigo pieno. Prendere l'aereo e atterrare nella giungla asiatica. Le scimmie quando si mettono in posa per una fotografia. Non so, comprare le scarpe. Insomma, ce n'era di robe. E tu, niente, bam, sparito tutto."
"Dovevi dirlo prima, adesso è troppo tardi."

Polipone, vorrei che tu avessi le palle per amputartele, ma le tue poche parole mi hanno fatto sorgere dei dubbi amletici.
E poi si, in fondo era pieno di stronzi.

Dreamed by: co.

giovedì 19 aprile 2012

Murales, di Parco Cane.


Corro lungo un muro lungo. 
Muro di pietra. 
Lunga pure lei.
Nel senso che le pietre di arenaria che fanno il muro sono pietre lunghe e non brevi e tozzi parallelepipedi (parallelepipedi è una parola ostica, un torcilingua, ma piacevole, mi fa venire in mente degli animaletti -femmina, guarda un po'- che camminano con movimento armonioso, tipo millepiedi jessicaalba, simpatici, con i tacchi e con le tette).
Comunque, scusate la digressione, corro -dicevo- a perdifiato.
E si dice perdifiato ma si dovrebbe scrivere perdi fiato. 
Ma non tanto perché a correre si fa fatica e ci si sfiata, solo perché in questo stramaledetto sogno sogno (il primo sostantivo, il secondo verbo) di dover schivare la presa di strani esseri che escono di colpo e a sorpresa dal muro e vogliono prendermi e murarmi con loro in una nicchia di pietra (gli esseri di cui parlo non sono i parallelepipedi di cui parlavo, quelli fanno parte solo della digressione, questi somigliano piuttosto a un maldestro cocktail di zombie e portinaie).
Ma, prima di murarmi, vorrebbero svuotarmi dell'aria che ho ancora in corpo schiacciandomi come si farebbe con materassino gonfiabile da piegare e mettere nel baule dell'auto (è così che perderei fiato nel sogno).
Allora, io corro e schivo braccia di portinaie mortifere, tese a ghermire me e il mio fiato.
Io sono vestito con una canottiera.
Sopra.
Sotto, no.
Niente canottiera, sotto, solo testicoli al vento.
E le gonadi, mentre corro, sbattono tra loro e fanno il suono di congas.
Roba da Africa nera.
Il ritmo della corsa e la velocità del suono crescono insieme.
Crescono, crescono, escono le braccia, che mi finalmente mi prendono, mi schiacciano e mi sgonfiano e mi sbattono nel muro.
Guardo la zombie portinaia (zombinaia) che mi ha acciuffato. 
Lei ha lo sguardo zombie. Io le sorrido come si fa e si deve con la portinaia (si se vuole evitare la sparizione della posta). 
Le mostro il pene libero e le chiedo se può rigonfiarmi.
Lei mi manda in quel paese e mi spinge fuori dalla nicchia nel muro.
Sei il solito cazzone -mi dice, intanto.
Veramente, sono sgonfio -rispondo.
Che sogno del cazzo (si può dire, sul vostro blog?).


Dreamed by: Parco Cane.