domenica 27 gennaio 2013

Ascensore per l’inconscio.




Una finestra socchiusa contro un cielo pieno di stelle. 
Al di là della finestra un campanile di pietra, in un paese senza nome e senza tempo. Al di qua della finestra una camera d’albergo. 
Al centro, io. Ovunque, silenzio. 
Anzi no, un vociare sottile di gente per strada. 
Mi affaccio, c’è un uomo che tira un carretto pieno di frutta, una donna con una veste lunga e un grembiule. Un capannello di bambini, sul marciapiedi, raccolto attorno al giro di una trottola. Bambini che a quanto pare non hanno mai visto una playstation. 
Dove sono i telefoni e le auto. Che fine hanno fatto le insegne al neon. 
Dunque. O sono finita in una comunità hamish, oppure ho fatto un viaggio nel tempo.
Mi sembrano entrambe ipotesi valide, l’unica è andare a verificare. Per fortuna nessuno mi obbliga a vestirmi come Troisi in Non ci resta che piangere e in una frazione di secondo sono uscita dalla mia camera e scesa in strada. 
Devo svelare questo mistero. Sono curiosa, sono motivata, sono l’eroina surreale di un racconto alla De Maupassant, nessuno mi impedirà di scoprire la verità.
Però mi scappa la pipì. Mi scappa davvero.
Come non detto, bisogna che torni subito in camera.
Entro in albergo e prendo l’ascensore. Pare che gli hamish non guidino auto e non guardino la tv, però non abbiano niente contro gli ascensori. O meglio, contro gli ascensori impazziti. Perché la cosa migliore che può succederti mentre te la stai facendo addosso e incappare in un ascensore che decide di portarti ovunque tranne che al tuo piano. 
Me li fa fare tutti: il piano con la moquette verde, quello con la moquette azzurra, il piano senza moquette e la moquette senza piano. 
Poi, finalmente, arrivo di nuovo al piano sbagliato. Lo scantinato. 
Esco lo stesso, troverò un bagno qui. Lo spazio che ho davanti è grande come un hangar, semi buio e pieno di polvere, di mobili coperti da lenzuola, di scatole e sedie impilate una sull’altra. 
Mi guardo intorno, ma niente bagno. Allora devo tornare su. 
Ma c’è gente, tanta gente che aspetta l’ascensore. 
Perfetto. Ci mancava solo il raduno degli Amici degli Scantinati.
Mentre aspetto, mi guardo intorno e  un po’ più in là, tra attaccapanni e tavoli inutili, vedo una pedana illuminata e un palo. E soprattutto due ragazze bellissime, biondissime e nudissime che ballano la lap dance più sexy che abbia mai visto.
Questa non è roba hamish. E neanche roba d’altri tempi.
A questo punto la mia voce fuori campo mi rivolge la parola.
-      
            Dovresti aver capito dove ti trovi.
-         No.
-         Sei in un sotterraneo. Sei sotto la superficie. E sei in un sogno. Quindi…
-         Non ci arrivo. Mi serve un bagno.
-         Sei nel tuo inconscio, stupida.

Giusto. Come ho fatto a non pensarci prima.
Adesso non mi resta che fare i conti con una verità piuttosto sconcertante.
Il mio inconscio è un club privè clandestino.
E io non so ballare. 

Dreamed by: Monsters

martedì 22 gennaio 2013

Il downgrade non richiesto.

E basta co sti cazzo di smartphone.

E piripì e piripì sempre a dirti cosa devi fare, chi devi vedere, chi devi sentire, cosa devi guardare.
Adesso veramente basta. Ne ho abbastanza.

Io non voglio più essere raggiungibile in qualsiasi momento. Non voglio mandare sms gratuiti a tutti i miei amici. Non voglio postare foto su Facebook dal mio dispositivo. Non voglio controllare le mail anche in vacanza.

Entro nel primo negozio di telefonini e propongo uno scambio equo: il mio iPhone per questo bel Nokia 3310. Scambio la tecnologia per la mia libertà. Il commesso è incredulo e non ci vuole molto a convincerlo ad accettare.

Esco dal negozio libera e felice, lanciando il mio mattone parlante contro al cemento godendo della sua indistruttibilità e del suo schermo monocromatico.
E poi la tragedia.
Mi rendo conto in un lampo di cosa ho perso per sempre. L'entertainment continuo. Non posso più giocare a Ruzzle.

Torno indietro ma il commesso ha già chiuso le serrande e mi ha lasciato in braghe di Nokia.

Chiamalo scemo.

Dreamed by: Co.

venerdì 11 gennaio 2013

Riunione di famiglia.


Sei tu, lì in fondo, dietro la donna con il cappotto peloso. Sei tu, non c’è dubbio.
È tanto che non ci vediamo.
Che fine hanno fatto i tuoi occhiali.
Sono contenta di vederti, non me l’aspettavo.
No, non è che mi sia dimenticata. È che i giorni si rincorrono impazziti, si ammucchiano uno sopra l’altro alla rinfusa, come la terra scavata dai cani.
Non ho voglia dire le solite cose. Che se ci fossi stato tu.
Tanto non è vero.
Quando c’eri era uguale. Non eri una guida, non eri un amico, non uno con cui mi confidavo.
Però eri buono, eri allegro, eri Famiglia.  La parte migliore.  
Non ti penso tutti i giorni, e non sono mai venuta a trovarti. Ma è bello vederti.
Metro verde. Fermata Moscova. Chi l’avrebbe mai detto che t’avrei incontrato qui.
La salute va bene, il lavoro ce l’ho.
Ma come vedi, la guerra non è ancora finita.
È che pensavo che sarebbe stato diverso, che tutto, col tempo, si sarebbe incastrato alla perfezione.
E invece, guarda qua, è tutto fermo.
Questo vagone, per esempio. Da quant’è che siamo qui sotto?
La donna col cappotto peloso pensa che stia parlando con lei.
Ecco avvicinati, così possiamo capirci meglio.
Non ricordo più bene la tua faccia, mi dispiace.  
Ricordo a malapena i tuoi baffi.
Dicono che succede così, dopo un po’. 
Grazie per questo abbraccio e per avermi detto che andrà tutto bene.
È la frase di circostanza più piena e vera e nuova che abbia mai sentito.
Avevo voglia di questo. Di clichè lacrimosi. Di finali hollywoodiani. Che male c’è.
Sono così stanca, zio, ora vorrei tanto dormire.
Mi dici che quando si dorme in un sogno, si dorme al quadrato.
Solo uno come te può rendere così poetica la matematica.

Dreamed by: Monsters

lunedì 7 gennaio 2013

Il vedovo poco allegro.


Qualcuno mi può spiegare perché ogni volta che chiudo gli occhi mi ritrovo catapultata in una notte buia senza speranza?
No, perché mi sono un po' stancata di camminare per questi marciapiedi anonimi, di una qualunque città nordeuropea che non ho mai visitato, facendo riecheggiare i miei passi nel buio infinito.
Almeno questa volta non sono sola, ecco. Almeno ho qualcuno che mi tiene per mano. Almeno ho qualcuno che scaccia via la paura.

E poi. Qualcuno mi può spiegare perché, all'improvviso, incontriamo Aphex Twin e Moderat all'angolo di questa strada senza inizio né fine? E perché il mio accompagnatore li saluta come se fossero amici di lunga data, con grandi pacche sulle spalle e e reciproci complimenti, tipo, man, sei il numero uno, bella lì?

Ma soprattutto. Qualcuno mi può spiegare perché, nel bel mezzo di questa simpatica rimpatriata tra musicisti, sbuca una macchina a tutta velocità dalla notte più nera, sbanda, e mi centra in pieno, uccidendomi?
No, perché questa non ci voleva.

Al volante, una vecchia conoscenza del liceo. E io, diventata spirito, mi sento in dovere di infestarla. Cioè, io non voglio proprio infestarla, ma almeno vorrei porle le tre domande di cui sopra. Più una: perché proprio adesso, perché tirarmi sotto proprio quando ho trovato un'anima pia che mi tiene la mano nell'oscurità?
A me piaceva. Quella mano, non l'oscurità.

Resta il fatto che neanche l'assassina al volante ha le risposte che cerco. Ad ogni punto interrogativo fa spallucce. E quando le dico piangendo che ora quella mano non posso più toccarla, mi dice: "Ma guarda, anche quella mano si sente sola senza di te."

Io guardo quella mano. Sola.
E attaccata a quella mano, un uomo incazzato che guarda il mio corpo esanime sotto all'auto assassina.
Chiaccherando amabilmente con i suoi electrofriends.

Non mi resta che sparire fantomaticamente, lasciando su questa terra il mio corpo vuoto e la mano tanto amata.
Ma non senza una musica di sottofondo indimenticabile.
Che ricorda in modo preoccupante Windowlicker.

Dreamed by: Co.