Una finestra socchiusa
contro un cielo pieno di stelle.
Al di là della finestra un campanile di
pietra, in un paese senza nome e senza tempo. Al di qua della finestra una
camera d’albergo.
Al centro, io. Ovunque,
silenzio.
Anzi no, un vociare sottile di gente per strada.
Mi affaccio, c’è un
uomo che tira un carretto pieno di frutta, una donna con una veste lunga e un
grembiule. Un capannello di bambini, sul marciapiedi, raccolto attorno al giro
di una trottola. Bambini che a quanto pare non hanno mai visto una playstation.
Dove sono i telefoni e le auto. Che fine hanno fatto le insegne al neon.
Dunque. O sono finita in una comunità hamish, oppure ho fatto un viaggio nel
tempo.
Mi sembrano entrambe ipotesi valide, l’unica è andare a verificare. Per
fortuna nessuno mi obbliga a vestirmi come Troisi in Non ci resta che piangere
e in una frazione di secondo sono uscita dalla mia camera e scesa in strada.
Devo svelare questo mistero. Sono curiosa, sono motivata, sono l’eroina
surreale di un racconto alla De Maupassant, nessuno mi impedirà di scoprire la
verità.
Però mi scappa la pipì. Mi
scappa davvero.
Come non detto, bisogna che
torni subito in camera.
Entro in albergo e prendo l’ascensore.
Pare che gli hamish non guidino auto e non guardino la tv, però non abbiano
niente contro gli ascensori. O meglio, contro gli ascensori impazziti. Perché
la cosa migliore che può succederti mentre te la stai facendo addosso e
incappare in un ascensore che decide di portarti ovunque tranne che al tuo
piano.
Me li fa fare tutti: il piano con la moquette verde, quello con la
moquette azzurra, il piano senza moquette e la moquette senza piano.
Poi,
finalmente, arrivo di nuovo al piano sbagliato. Lo scantinato.
Esco lo stesso,
troverò un bagno qui. Lo spazio che ho davanti è grande come un hangar, semi
buio e pieno di polvere, di mobili coperti da lenzuola, di scatole e sedie
impilate una sull’altra.
Mi guardo intorno, ma niente bagno. Allora devo
tornare su.
Ma c’è gente, tanta gente che aspetta l’ascensore.
Perfetto. Ci
mancava solo il raduno degli Amici degli Scantinati.
Mentre aspetto, mi guardo
intorno e un po’ più in là, tra
attaccapanni e tavoli inutili, vedo una pedana illuminata e un palo. E
soprattutto due ragazze bellissime, biondissime e nudissime che ballano la lap
dance più sexy che abbia mai visto.
Questa non è roba hamish. E
neanche roba d’altri tempi.
A questo punto la mia voce
fuori campo mi rivolge la parola.
-
Dovresti aver
capito dove ti trovi.
- No.
- Sei in un
sotterraneo. Sei sotto la superficie. E sei in un sogno. Quindi…
- Non ci arrivo.
Mi serve un bagno.
- Sei nel tuo
inconscio, stupida.
Giusto. Come ho fatto a non
pensarci prima.
Adesso non mi resta che fare
i conti con una verità piuttosto sconcertante.
Il mio inconscio è un club
privè clandestino.
E io non so ballare.
Dreamed by: Monsters