venerdì 11 gennaio 2013

Riunione di famiglia.


Sei tu, lì in fondo, dietro la donna con il cappotto peloso. Sei tu, non c’è dubbio.
È tanto che non ci vediamo.
Che fine hanno fatto i tuoi occhiali.
Sono contenta di vederti, non me l’aspettavo.
No, non è che mi sia dimenticata. È che i giorni si rincorrono impazziti, si ammucchiano uno sopra l’altro alla rinfusa, come la terra scavata dai cani.
Non ho voglia dire le solite cose. Che se ci fossi stato tu.
Tanto non è vero.
Quando c’eri era uguale. Non eri una guida, non eri un amico, non uno con cui mi confidavo.
Però eri buono, eri allegro, eri Famiglia.  La parte migliore.  
Non ti penso tutti i giorni, e non sono mai venuta a trovarti. Ma è bello vederti.
Metro verde. Fermata Moscova. Chi l’avrebbe mai detto che t’avrei incontrato qui.
La salute va bene, il lavoro ce l’ho.
Ma come vedi, la guerra non è ancora finita.
È che pensavo che sarebbe stato diverso, che tutto, col tempo, si sarebbe incastrato alla perfezione.
E invece, guarda qua, è tutto fermo.
Questo vagone, per esempio. Da quant’è che siamo qui sotto?
La donna col cappotto peloso pensa che stia parlando con lei.
Ecco avvicinati, così possiamo capirci meglio.
Non ricordo più bene la tua faccia, mi dispiace.  
Ricordo a malapena i tuoi baffi.
Dicono che succede così, dopo un po’. 
Grazie per questo abbraccio e per avermi detto che andrà tutto bene.
È la frase di circostanza più piena e vera e nuova che abbia mai sentito.
Avevo voglia di questo. Di clichè lacrimosi. Di finali hollywoodiani. Che male c’è.
Sono così stanca, zio, ora vorrei tanto dormire.
Mi dici che quando si dorme in un sogno, si dorme al quadrato.
Solo uno come te può rendere così poetica la matematica.

Dreamed by: Monsters

lunedì 7 gennaio 2013

Il vedovo poco allegro.


Qualcuno mi può spiegare perché ogni volta che chiudo gli occhi mi ritrovo catapultata in una notte buia senza speranza?
No, perché mi sono un po' stancata di camminare per questi marciapiedi anonimi, di una qualunque città nordeuropea che non ho mai visitato, facendo riecheggiare i miei passi nel buio infinito.
Almeno questa volta non sono sola, ecco. Almeno ho qualcuno che mi tiene per mano. Almeno ho qualcuno che scaccia via la paura.

E poi. Qualcuno mi può spiegare perché, all'improvviso, incontriamo Aphex Twin e Moderat all'angolo di questa strada senza inizio né fine? E perché il mio accompagnatore li saluta come se fossero amici di lunga data, con grandi pacche sulle spalle e e reciproci complimenti, tipo, man, sei il numero uno, bella lì?

Ma soprattutto. Qualcuno mi può spiegare perché, nel bel mezzo di questa simpatica rimpatriata tra musicisti, sbuca una macchina a tutta velocità dalla notte più nera, sbanda, e mi centra in pieno, uccidendomi?
No, perché questa non ci voleva.

Al volante, una vecchia conoscenza del liceo. E io, diventata spirito, mi sento in dovere di infestarla. Cioè, io non voglio proprio infestarla, ma almeno vorrei porle le tre domande di cui sopra. Più una: perché proprio adesso, perché tirarmi sotto proprio quando ho trovato un'anima pia che mi tiene la mano nell'oscurità?
A me piaceva. Quella mano, non l'oscurità.

Resta il fatto che neanche l'assassina al volante ha le risposte che cerco. Ad ogni punto interrogativo fa spallucce. E quando le dico piangendo che ora quella mano non posso più toccarla, mi dice: "Ma guarda, anche quella mano si sente sola senza di te."

Io guardo quella mano. Sola.
E attaccata a quella mano, un uomo incazzato che guarda il mio corpo esanime sotto all'auto assassina.
Chiaccherando amabilmente con i suoi electrofriends.

Non mi resta che sparire fantomaticamente, lasciando su questa terra il mio corpo vuoto e la mano tanto amata.
Ma non senza una musica di sottofondo indimenticabile.
Che ricorda in modo preoccupante Windowlicker.

Dreamed by: Co.




giovedì 20 dicembre 2012

L'innocenza perduta.


Ricordo questo pavimento. Le sue piastrelle in cotto, sempre all'ombra, troppo fredde se calpestate a piedi nudi.

Ricordo il rumore di queste tende mentre le scosto delicatamente per entrare dalla porta, facendo entrare un sottile fascio di luce. Quella luce bianca e polverosa del primo pomeriggio, in agosto, quella luce da cui non puoi nasconderti.

Ricordo questa sensazione di freddo penetrante al contatto con il bracciolo del divano. Il metallo gelido nascosto sotto un materasso morbido su cui lanciarmi guardando mia madre che cucina. E il suo rumore di posate e pentole e lo sfrigolio dell'olio su cui rosolano le patatine fritte. Ricordo che è giovedì. Perchè il giovedì si preparano le patatine fritte, se siamo stati bravi.

Ricordo quest'angolo di buio in corridoio, quello dove non vogliamo mai passare per paura che un orribile e gigantesco mostro ci aggredisca in un metro quadro di oscurità mentre corriamo in camera lanciandoci sui nostri lettini, costretti a fare un pisolino dopo il pranzo e prima del malefico bombolone alla crema. Mangiati mille, tra proteste e strepiti, mai finito neanche uno. Forse è per questo che ancora oggi non riesco a mangiare dolci fritti.

Ricordo questa sagoma, quella di mio fratello in controluce. Le sue gambe corte, con le ginocchia rivolte all'indentro, e i suoi calzettini troppo larghi e cadenti sulle caviglie. Anche in controluce, posso immaginarlo sorridere con quegli occhi luminosi e il ciuccio sempre in bocca, sopra ai suoi denti piccoli e bianchissimi.

Ricordo questo rumore, quello della bicicletta di papà che arriva  traballando sul selciato di ciottoli, fischiettando. Qualcosa dei Black Sabbath o dei Deep Purple, qualcosa che viene da un mondo lontano e malinconico, ma che tra le sue labbra ha un retrogusto così soave e bellissimo. Ricordo il numero delle sue lentiggini sulle sue gambe, le uniche cose che da quest'altezza riesco a vedere. La sua pelle bianca e lattiginosa e i piedi nodosi nelle ciabatte da mare.

Ricordo questa casa, quella dei miei genitori al mare, dove passavamo ogni estate senza pensieri.
Ricordo questo senso di beata spensieratezza. Ricordo questa leggerezza nel cuore e nei piedi.

Ricordo ogni dettaglio di questo angolo di cielo dove ho lasciato la mia innocenza. Chiedendomi cosa sarebbe stato di me. E certo non potevo immaginare nulla di ciò che sono oggi.

E ora ricordo perchè, almeno in sogno, ho pensato di venire a passare un po' di tempo proprio qui.
Nella mia innocenza perduta.

Dreamed by: Co.

lunedì 17 dicembre 2012

La corsa in passerella.


Se tu me l'avessi detto, che questa strada era storta e non dritta.
Se tu me l'avessi detto, che si sarebbe alzata da terra come un serpente che si sveglia, aprendo le sue spire in mille e mille pieghe e curve sinuose, imprevedibili e senza un ordine vero.

Se tu me l'avessi detto, mi sarei messa gli anfibi e non le zeppe di Vivienne Westwood.

E invece sono qui, a questo capo della strada, e ti guardo che mi guardi dall'altro e con quegli occhi neri come l'universo mi chiedi di raggiungerti. Di corsa.
E io corro e corro e corro e corro e non ti immagini neanche quanto corro.

Corro così tanto che se mi facessero una foto adesso finirei su The Sartorialist, con la pochette in pitone fucsia e la minishirt paillettata e i capelli perfetti controvento grazie a un badile di cera. Corro così tanto che per me dovrebbero inventare una nuova categoria di servizio di moda, tipo, non so, "Paura e sudore a Las Vegas" o "Sweaty is the New Black".

Io corro e corro sui miei tacchi alti ma non vado da nessuna parte.

Io corro e corro ma queste spire si allungano sempre più, e sul dorso di questo serpente di cemento si snodano persone che mi bloccano, vogliono toccarmi, vogliono fotografarmi, vogliono fermarmi, e io mi dimeno in questo groviglio di rami pungenti dalle sembianze umane strappandomi i vestiti ma senza raggiungerti mai.

Io corro e corro e i tuoi occhi sono sempre più grandi, sono grandi come il cielo e bui come la notte, e io lo so che tu mi guardi e mi aspetti e l'unica cosa che posso dirti è:

Ancora 5 minuti, non sono pronta. Mi si sono smagliate le calze.

Dreamed by: Co.

mercoledì 12 dicembre 2012

Gente di montagna.


Ecco, noi siamo qui. E dobbiamo arrivare qui, mi dice.

Dove l'hai recuperata questa mappa. È surreale, gli dico.

Non ci vorrà poi tanto, l'ho fatto da solo lo scorso weekend, praticamente una sgambata.  

Vedo. Basta seguire il nord. Visto che questa mappa segna il nord su tutti i punti cardinali.

Non farci caso. Sarà facile.

Se lo dici tu. Ma devo fermarmi a prendere le sigarette.

Guarda che questa è una cosa seria. Non sarà facile, è bene che tu lo sappia. 

Ma avevi detto...

Dobbiamo risalire un canyon, camminare in mezzo al bosco e fare un'arrampicata su una parete verticale. 

Ma io ho i tacchi. 

Ci vorrà tutto il giorno. 

E i jeans stretti.

Ci vorrà volontà e impegno.

Il primo alpinista che incontriamo mi denuncia alla buon costume. 

Tutti dovrebbero fare questa cosa una volta nella vita. Devi farlo anche tu.

Ma quindi, niente sigarette?

No.

E va bene, andiamo.

Andiamo.

E ora dove siamo?

Nello studio di mio padre, devo cercare una cosa. 

Tuo padre ha uno studio su un sentiero di montagna? Comodo. 

È un posto segreto, non devi dirlo a nessuno.

Oh.
...

Senti, ti vedo piuttosto indaffarato, ma posso chiederti una cosa?

Sì.

Perché sto sul divano dello studio di tuo padre, sperso su un sentiero di montagna, con i pantaloni calati e un pastore tedesco che mi annusa i piedi?

È il tuo sogno, non il mio.


Dreamed by: Monsters

giovedì 29 novembre 2012

Così mi pace, di Pig Jim.

So di essere in una città che non ha stato e nemmeno un nome, bagnata da un mare inferocito e ghiacciato. 
Attorno a me mille persone, persone felici che si muovono veloci e parlano una lingua mai esistita, che capisco perfettamente.
Io sono ovunque, passo da una parte all'altra in un secondo, esploro ogni angolo, sono solo ma non mi sento solo.
In un attimo il tempo rallenta, davanti a me c'è un uomo grosso, di colore, che indossa un grande piumino nero e mi guarda serio, ma non severo. Mi guarda negli occhi e mi porge un mestolo con un liquido azzurro pieno di puntini brillanti, non so cosa sia ma so che è la cosa più buona che possa mai esistere. Bevo senza esitazioni, non percepisco alcun sapore, solo purezza, soltanto l'essenza della bontà, dentro di me. La mia mente è fresca come se qualcuno ci soffiasse delicatamente dentro, rendendola leggera, il mio corpo e' pieno di energia , si muove come se fosse aiutato da una forza amica, tutto mi sembra bellissimo, tutti sono bellissimi, sento il rumore del mare vicino a me che copre ogni rumore.

E ballo. 
Non c'è musica ma tutti sembrano ballare la stessa melodia, tutto è dentro di noi, trasformato in sensazioni. Ci sono vecchie che ballano travolte dalla gioia , bambini che si muovono goffi con un sorriso fisso e furbo. Uomini che si abbracciano e donne bellissime che mi guardano e mi sorridono versandomi in bocca del vino freddo da piccoli bicchieri d'argento.
Fino a quando non guardo più niente. 
Tra tutte le persone, una. 
Tra tutto il piacere, uno. 
Tra tutti gli sguardi solo uno, l'unico che non mi guarda mai.
"Com'è possibile che ho cercato tanto la bellezza, quando la bellezza è
 così semplice ed è qui davanti." penso. 
L'amore era dentro quel mestolo, è come un iniezione. L'amore e' semplice. 
Rimango un tempo indeterminato ma lungo a seguire ogni suo movimento e mi sembra di fare scorta di qualcosa di cui sono in riserva da una vita. 
E penso:"qui sono tutti come me, sono venuti tutti a riempirsi di succo!" e quando lo penso un signore ciccione avvicina la sua faccia grossa alla mia e mi sorride annuendo vistosamente.
"Ho capito, ma io voglio lei!" mi avvicino e le tocco la faccia, la annuso, ci abbracciamo, lei mi guarda negli occhi sorridendo e mi mette una mano davanti alla  bocca, come per tenerla a bada, per metterla in pausa. Io ho solo bisogno del suo odore e della sua pelle, mi basta.
Rimango avvolto da una felicità immensa, forse fino al suo apice, tutto mi avvolge: i suoni, i colori, gli odori.
Lentamente, è tutto scuro. Ora c'è solo silenzio. 
Sono solo in un letto immenso e bianco. 
Mi siedo su me stesso.
Voglio disperatamente un hamburger.

mercoledì 10 ottobre 2012

Non è un paese per vecchie.


Il fatto che io indossi una specie di pigiama e delle improbabili pantofoline pelose, mentre vado a lavorare in macchina, comincia subito con l’infastidirmi.
Però non mi scompongo. L’aplomb è tutto. E voi non sapete con chi avete a che fare, care babbucce in pelouche.
E tu,  specie di pigiama, ci vuole molto più di una trama ad elefanti azzurri per impedirmi di camminare a testa alta tra la gente. Vedrai.
Ma mentre mi appresto a scendere dalla macchina, in macchina, entra lei.
Una signora anziana, molto anziana. Che apre lo sportello e con movenze soporifere si sistema sul sedile posteriore.  Io la guardo dallo specchietto retrovisore. Lei mi restituisce uno sguardo alla Clint Eastwood, ai tempi di Sergio Leone. Ho una fugace visione di un Clint in abiti da vecchia, con tanto di calza contenitiva e borsetta vintage. La cosa non fa una piega se accostiamo questa immagine a me che guido in pigiama elefantiaco.
Potrei andare avanti a fare accostamenti inquietanti ancora a lungo, se non fosse che la vecchia mi tira fuori un’arma dalla borsetta e me la punta alla testa.
Io l’avevo detto, una citazione di Sergio Leone si porta sempre dietro la sparatoria.

- Metti in moto e accompagnami al mio paese.- mi dice, mentre un accenno di Parkinson fa tremare vistosamente la bocca della pistola a pochi millimetri dalla mia tempia.

- Signora, non può prendere un taxi?- 

È la mia dignità a parlare. Anche se il suo dito instabile su quel grilletto mi spaventa, stiamo pur sempre parlando di un'ultraottantenne che sta cercando di sequestrarmi. Che diamine.

- Signorina, lo sa quanto prendo di pensione? Secondo lei posso permettermi un taxi? In questo Paese […] dove gli anziani vengono lasciati a loro stessi! E poi le sembra il modo di rivolgersi […] ? Io ho visto due guerre, sa […]? -
  
Non ha tutti i torti. Mi viene voglia di proporle un affare. Abbiamo l’arma. Abbiamo la follia. Potremmo andare a svaligiare una banca, così, su due piedi pantofolati.

- Metta in moto e si sbrighi. Ci vogliono 200 km per arrivare al mio paese. E alle 2 comincia Uomini e Donne. -

Eh no. Questo no. Essere minacciata di morte per tenere alto l’audience di Maria de Filippi è troppo.

- Che ne dice se la lascio alla fermata dell’autobus?-

- Va bene.-

Finisce così. Con un “va bene”. Mi sembra chiaro che se questa sceneggiatura arrivasse sulla scrivania di Tarantino, verrebbe buttata nel gabinetto, nonostante le citazioni a lui care. Alla fermata dell’autobus, guardo la vecchietta uscire e allontanarsi con passo malfermo, ma fiero.
In qualche modo, sento un moto di simpatia. Tra cercare di tenere alto l’orgoglio in un nugolo di elefanti azzurri e conservare la propria dignità quando neanche un’arma ti impedisce di essere abbandonata a te stessa, il passo è breve.

In fondo, per un pugno di chilometri, quel passaggio avrei anche potuto darglielo.

Dreamed by: Monsters