venerdì 23 marzo 2012

L'ospedale storto.

Questo è un ospedale, e questo è un camice. Bianco, di quelli classici da operazione chirurgica. A forma di buccia di patata, ma senza la patata. Quelli col culo scoperto, per intenderci.
Questo è un letto di ospedale e questi sono corridoi. Bui e lugubri, percorsi da una luce velata, di quelle luci da film horror, quelle che segui per ore cercando di arrivare alla fonte senza mai arrivarci.
Questi sono i miei piedi e questo è il rumore dei miei passi insicuri nel buio, mentre sorpasso una corsia dopo l'altra, un malato dopo l'altro. Qui soffrono tutti, aggrovigliati nel loro dolore silenzioso e interno, contorti sulle brande coperte da lenzuola verdi, ma sono tutti vestiti come se fossero dei visitatori.
E io, che forse ho appena subito un'operazione, sto da dio.
Sono più piccola degli altri, sono più malata degli altri, sono più inconsistente degli altri. Eppure sto bene.
Forse sono io il fantasma che ho paura abiti questi corridoi inquietanti. Non so.
Vorrei pensarci, vorrei capire: magari potrei provare a parlarne con uno di questi degenti. Chiedergli come va, provare a toccarlo per vedere se gli passo attraverso oppure no, ma mentre sto meditando su questa possibilità succede qualcosa di assurdo: l'ospedale comincia a inclinarsi su un lato, si, sta lentamente scivolando su sé stesso.
In un attimo il panico si impadronisce di tutto l'ospedale: i malati si rinchiudono all'interno delle loro stanze, spaventati, mentre dal nulla spuntano sciami di infermiere che corrono senza direzione da un capo all'altro dello stabile.
Io mantengo la mia calma zen e mi dirigo con lo stesso passo quieto e malfermo verso la sala refezione.
Quella sul lato più inclinato. Cammino ormai con un angolo di 45° sull'universo, quando raggiungo la mia meta: una stanza piena di tavoli su cui inciampano persone in fuga da tutte le parti.
Al tavolo più nascosto siedono tre persone: un'infermiera dai capelli rossi e due inservienti. Calmi come me.
L'ospedale ha smesso di inclinarsi, così posso fare il mio tentativo antifantasmagorico: parlo con loro.
"Mangiamo insieme?" - chiedo.
"Abbiamo tenuto un posto giusto per te" - mi rispondono tirando fuori dall'oscurità tanti cestini per il pranzo. Caso vuole che io abbia con me un pezzo di pane e due fette di prosciutto.
E così, in quest'ospedale mezzo vuoto e tutto storto, nel buio dove risplendono solo i denti bianchissimi dell'infermiera rossa, mi siedo al tavolo con questi demoni dell'oscurità a mangiare in silenzio.
Nel mio camice bianco.

Speriamo solo che non mi guardino il culo.

Dreamed by: Co.

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