È un tardo pomeriggio primaverile e la sera sta scendendo lentamente sulla nostra pelle per appiccicarsi sopra come resina. Siamo un gruppo scanzonato di amici alla ricerca di un po' di spensieratezza all'interno di una villa che è diventata punto di incontro per giovani. Ad un tratto ci ritroviamo di fronte un maestoso e malefico Ficus Macrophylla che ha ingurgitato segretamente qualcosa che ci appartiene. Lo guardiamo basiti perché sembra un calamaro di legno. Le fauci intricate rendono il suo interno imperscrutabile. Tra le stalagmiti fibrose vediamo vorticare mattoni di compensato che turbinano verso l'alto per scomparire nel nulla. Ma non è quello che stiamo cercando, anche se neanche noi sappiamo perché siamo stati calamitati lì. Ma eccola. Sembra la mia borsa Timberland avvolta in un groviglio inestricabile. Sono sicuro che non riuscirà a ingurgitare lo scudo delle mie innumerevoli battaglie. Dovrà buttarla giù tutta d'un pezzo per scoprirla indigesta. Dall'alto delle fauci però spunta improvvisamente una sega circolare pronta a farne poltiglia. Man Mano che la borsa viene disintegrata alcuni pesciolini d'argento e altri macro parassiti gli ruotano attorno per ripulirne gli avanzi come premurosi inservienti. Che disdetta. Siamo ancora lì inermi ad osservare il crudele spettacolo della natura di cui non capiamo il senso.
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Il suo blog: E chi se ne frega
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venerdì 29 aprile 2011
Il MaleFicus Macrophylla, di X-Senefrega
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sogni di altri
mercoledì 27 aprile 2011
Il tribunale.
Eccoli là. Tutti pronti a giudicarmi. Tutti seduti sui loro scranni pesanti e lo sguardo inquisitorio.
Il tribunale è affollato e mi sembra un po' eccessivo, visto che non so i capi dell'accusa ma non mi sembra di aver fatto niente di diverso dal solito ultimamente.
La cosa strana è che intorno a me vedo tante facce note. Facce di tutti i giorni. Sono i miei colleghi e questo è un tribunale lavorativo.
Provo a elencare i miei possibili errori. Avrò sbagliato a scrivere un documento? Avrò inviato degli insulti via mail all'indirizzo sbagliato? Avrò perso un cliente?
Non mi viene in mente proprio niente, e la sensazione che la reazione sia esagerata persiste.
Alzo lo sguardo verso il giudice e verso la sua parrucca boccolosa, poi mi volto di nuovo verso il pubblico: sono pronti a giudicarmi, è vero, ma tutti vestiti di stracci e brandelli di stoffa. Il più pulito qui dentro è coperto di pulci e polvere della strada, colori sbiaditi dalle fatiche di ogni giorno.
Io ho un bel vestito a fiori.
Sorrido al giudice. Forse non sono così colpevole, in fondo.
Dreamed by: Co
Il tribunale è affollato e mi sembra un po' eccessivo, visto che non so i capi dell'accusa ma non mi sembra di aver fatto niente di diverso dal solito ultimamente.
La cosa strana è che intorno a me vedo tante facce note. Facce di tutti i giorni. Sono i miei colleghi e questo è un tribunale lavorativo.
Provo a elencare i miei possibili errori. Avrò sbagliato a scrivere un documento? Avrò inviato degli insulti via mail all'indirizzo sbagliato? Avrò perso un cliente?
Non mi viene in mente proprio niente, e la sensazione che la reazione sia esagerata persiste.
Alzo lo sguardo verso il giudice e verso la sua parrucca boccolosa, poi mi volto di nuovo verso il pubblico: sono pronti a giudicarmi, è vero, ma tutti vestiti di stracci e brandelli di stoffa. Il più pulito qui dentro è coperto di pulci e polvere della strada, colori sbiaditi dalle fatiche di ogni giorno.
Io ho un bel vestito a fiori.
Sorrido al giudice. Forse non sono così colpevole, in fondo.
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riflussi di coscienza
martedì 19 aprile 2011
La Cenerentola dei poveri.
Sono in una piazza abbandonata. Siamo nella periferia di una grande città; intorno a noi, i cancelli chiusi di tante villette familiari.
Tutto è grigio. Il pavimento di porfido, i cancelli, il cielo. La campagna che intravvedo oltre i muri, un campanile sospeso in lontananza. Il vento gelido del Nord mi attraversa le ossa e i capelli.
In mezzo a questa piazza, un gruppetto di giovani rocknrollas sta accordando gli strumenti. Io ho una canottiera a fiori, un paio jeans bucati, infradito e un cane nero al guinzaglio: cosa ci faccio qui, conciata in questo modo?
Evidentemente conosco i ragazzi, perché mi invitano a sedermi su una panca fatta di vecchi scatoloni e travi di legno. L'hanno fatta apposta per me, pare.
Poi si mettono a suonare, e sono fantastici. Loro sono i Mando Diao, tutti insieme siamo nel bel mezzo del niente e stanno suonando solo per me. Eppure non sanno di essere i Mando Diao, perché sono insicuri. Mi chiedono pareri, vogliono sapere se li trovo bravi. Cristo, penso dentro di me, è un sogno che si avvera e neanche se ne rendono conto. Io sono entusiasta, esterrefatta, e loro sono sempre più bravi ad ogni canzone.
Poi smettono di suonare e cominciano a riporre gli strumenti. Parlano a bassa voce tra di loro. So che stanno parlando di me, ma non so di cosa.
Poi lo capisco: Bjorn si avvicina a me e mi chiede di fare due passi. Io e il mio cane randagio ma non troppo lo seguiamo. E appena svoltati l'angolo, in un vicolo grigio quanto il cielo, mi dice che mi ha sempre amato. Che è perdutamente innamorato di me. Che mi ha invitato lì per questo motivo. Che vorrebbe baciarmi, ma non sa come fare.
Dentro di me è esplosa una bomba atomica, fuori di me tutto tace. Mi appoggio pigramente al muro di una casa, sento il ruvido dei mattoni sulla schiena nuda. Faccio finta che non mi interessi niente solo per farmi baciare meglio.
E' un bacio lunghissimo, come quelli che capitano solo in sogno. Le sue mani sulla mia faccia, il suo giubbotto di pelle morbida che si appoggia delicatamente su di me, i suoi capelli incontrollati nel vento freddo del nord. Gli occhi chiusi e il cuore aperto.
E dopo questo bacio lunghissimo me ne vado, sola col mio cane al guinzaglio. Un'esplosione di farfalle nello stomaco e lo sciabattare delle mie Havajanas. Torno nel basement dove vivo, mi rintano nelle mie fondamenta come una Cenerentola dei poveri, a guardare un timido raggio di sole dalle sbarre di una finestra troppo piccola.
Bjorn. Proprio tu. Non saprai mai quanto ti ho aspettato.
Dreamed by: Co.
Tutto è grigio. Il pavimento di porfido, i cancelli, il cielo. La campagna che intravvedo oltre i muri, un campanile sospeso in lontananza. Il vento gelido del Nord mi attraversa le ossa e i capelli.
In mezzo a questa piazza, un gruppetto di giovani rocknrollas sta accordando gli strumenti. Io ho una canottiera a fiori, un paio jeans bucati, infradito e un cane nero al guinzaglio: cosa ci faccio qui, conciata in questo modo?
Evidentemente conosco i ragazzi, perché mi invitano a sedermi su una panca fatta di vecchi scatoloni e travi di legno. L'hanno fatta apposta per me, pare.
Poi si mettono a suonare, e sono fantastici. Loro sono i Mando Diao, tutti insieme siamo nel bel mezzo del niente e stanno suonando solo per me. Eppure non sanno di essere i Mando Diao, perché sono insicuri. Mi chiedono pareri, vogliono sapere se li trovo bravi. Cristo, penso dentro di me, è un sogno che si avvera e neanche se ne rendono conto. Io sono entusiasta, esterrefatta, e loro sono sempre più bravi ad ogni canzone.
Poi smettono di suonare e cominciano a riporre gli strumenti. Parlano a bassa voce tra di loro. So che stanno parlando di me, ma non so di cosa.
Poi lo capisco: Bjorn si avvicina a me e mi chiede di fare due passi. Io e il mio cane randagio ma non troppo lo seguiamo. E appena svoltati l'angolo, in un vicolo grigio quanto il cielo, mi dice che mi ha sempre amato. Che è perdutamente innamorato di me. Che mi ha invitato lì per questo motivo. Che vorrebbe baciarmi, ma non sa come fare.
Dentro di me è esplosa una bomba atomica, fuori di me tutto tace. Mi appoggio pigramente al muro di una casa, sento il ruvido dei mattoni sulla schiena nuda. Faccio finta che non mi interessi niente solo per farmi baciare meglio.
E' un bacio lunghissimo, come quelli che capitano solo in sogno. Le sue mani sulla mia faccia, il suo giubbotto di pelle morbida che si appoggia delicatamente su di me, i suoi capelli incontrollati nel vento freddo del nord. Gli occhi chiusi e il cuore aperto.
E dopo questo bacio lunghissimo me ne vado, sola col mio cane al guinzaglio. Un'esplosione di farfalle nello stomaco e lo sciabattare delle mie Havajanas. Torno nel basement dove vivo, mi rintano nelle mie fondamenta come una Cenerentola dei poveri, a guardare un timido raggio di sole dalle sbarre di una finestra troppo piccola.
Bjorn. Proprio tu. Non saprai mai quanto ti ho aspettato.
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rock 'n roll
martedì 5 aprile 2011
La visita.
Casa dei miei, al mare. Apro la porta della mia stanza, accendo la luce e vedo un fagottino di coperte che respira piano, sul mio letto. Deve essere un bambino, non riesco a vederlo da qui. Non lo sapevo, altrimenti la luce non l'averei accesa. E poi cosa cavolo ci fa un bambino nel mio letto. Spengo, cerco di chiudere la porta senza fare rumore, ma è troppo tardi. Il fagottino si smuove, si sfalda e vedo spuntare la testolina bionda di una bambina. Avrà cinque anni, all'incirca e una camicia da notte rosa.
È lei. Ne sono certa. Si alza, mi viene incontro. Ci sediamo sull'altro letto, una di fianco all'altra.
"Sai che tu sei la mia sorellina?" le dico.
Mi guarda, sembra non capire. Però sorride.
"Il tuo papà è anche il mio papà" le dico ancora.
E allora fa una di quelle risatine di cristallo, di cui solo i bambini sono capaci. E poi mi abbraccia.
Ciao, Michi.
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Sogni veri.
lunedì 21 marzo 2011
L'evacuazione improvvisa.
Ecco, ci siamo. Suonano le sirene. E' allarme, è panico.
Dobbiamo evacuare il palazzo, la zona, la città. Nessuno sa perché ma tutti se lo aspettavano. Fiumi di gente cominciano a correre fuori dai portoni, verso la salvezza, verso cosa non si sa.
Io no, io non sono pronta. Che succede, qualcuno mi dica qualcosa. Ecco, ecco, qualcuno mi dice di fare una valigia e cominciare a correre. Va bene, va bene. Faccio la valigia.
Apro una vecchia valigia consunta dal tempo e dai chilometri e comincio meticolosamente a riempirla, mentre una dopo l'altra sento riecheggiare le esplosioni. Magliette. Boom. Biancheria. Boom. Una giacca pesante, non si sa mai, soprattutto se non sai dove stai andando. Boom. Libri, potrei annoiarmi. Boom. Penne. Qualcuno dovrà pur scrivere. Boom. L'impalcatura di ferro sottile del mio letto a castello trema mentre sono indecisa sul numero di jeans da portare.
Ma non c'è tempo, non ce n'è più. Devo andare. La valigia non si chiude e mentre corro perdo ogni cosa per strada. E' sempre inutile cercare di portarsi dietro qualcosa dal passato, penso, mentre nelle mie orecchie rimbombano boati sempre più forti.
Sono più vicini, adesso. Forse non sono bombe. In questo vagone di salvataggio c'è gente che dice si tratti di un'invasione di dinosauri. Boom, boom. Ma nessuno ha risposte precise. Non c'è tempo neanche per avere paura, qui dentro.
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Dobbiamo evacuare il palazzo, la zona, la città. Nessuno sa perché ma tutti se lo aspettavano. Fiumi di gente cominciano a correre fuori dai portoni, verso la salvezza, verso cosa non si sa.
Io no, io non sono pronta. Che succede, qualcuno mi dica qualcosa. Ecco, ecco, qualcuno mi dice di fare una valigia e cominciare a correre. Va bene, va bene. Faccio la valigia.
Apro una vecchia valigia consunta dal tempo e dai chilometri e comincio meticolosamente a riempirla, mentre una dopo l'altra sento riecheggiare le esplosioni. Magliette. Boom. Biancheria. Boom. Una giacca pesante, non si sa mai, soprattutto se non sai dove stai andando. Boom. Libri, potrei annoiarmi. Boom. Penne. Qualcuno dovrà pur scrivere. Boom. L'impalcatura di ferro sottile del mio letto a castello trema mentre sono indecisa sul numero di jeans da portare.
Ma non c'è tempo, non ce n'è più. Devo andare. La valigia non si chiude e mentre corro perdo ogni cosa per strada. E' sempre inutile cercare di portarsi dietro qualcosa dal passato, penso, mentre nelle mie orecchie rimbombano boati sempre più forti.
Sono più vicini, adesso. Forse non sono bombe. In questo vagone di salvataggio c'è gente che dice si tratti di un'invasione di dinosauri. Boom, boom. Ma nessuno ha risposte precise. Non c'è tempo neanche per avere paura, qui dentro.
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Incubi
martedì 15 marzo 2011
La sindrome cinese.
Sono in barca. Finalmente, le sensazioni che riconosco. Salsedine, stelle, casa. Però c’è qualcosa che non va. La barca è in una distesa d’acqua immobile, piatta e opaca come un foglio di carta nuova, Il cielo è grigio e c’è una nebbia greve, appoggiata su qualsiasi cosa. È un paesaggio strano, è la Cina, e lo so con certezza anche se non ho punti di riferimento che lo confermino.E poi eccola che arriva, una feluca scivola silenziosa sull’acqua e si accosta alla barca. Un cinese magro, pallido e veloce come una gazzella si insinua nel pozzetto e scende sotto coperta. Ha un enorme cappello a cono che gli copre il volto. Siamo tutti di sotto e lo vedo mentre si avvicina ai miei amici e comincia a fissarli negli occhi, uno ad uno, senza dire una parola, senza un rumore. E uno ad uno, senza una parola e senza un rumore cominciano a ritirarsi nelle loro cuccette con gesti soporiferi e lì, si addormentano. Questo esserino senza volto sta plagiando tutti e non voglio pensare a quale potrebbe essere il suo piano. Ma non ho tempo per queste cose. Devo restare concentrata, non devo dormire, sono l’unica rimasta sveglia e lui sta puntando su di me i suoi occhietti neri, stretti, come crepe in un muro.
Mi rendo conto che sto indietreggiando lentamente verso la cabina di prua e una volta lì, mi stendo e non posso farci assolutamente niente. Il cinese allunga un braccio odioso dentro la cabina e lo vedo prendere la mia borsa, dove ci sono tutti gli oggetti a cui tengo di più. Mi hanno ipnotizzata e derubata, al centro di quello che dovrebbe essere il mio mondo, il mio altrove migliore. Però alla fine è così faticoso stare qui a preoccuparsi e rimpiangere, la mia mente ha sonno, le mie braccia hanno sonno.Cosa importa poi di ciò che accade là fuori,se posso chiudere gli occhi e riposare.
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cupe visioni
lunedì 14 marzo 2011
La nave volante.
Torno in Asia. Torno a immergermi in quei cunicoli di odori, sapori, colori, dove spero ancora di trovare quella parte di me che si è perduta chissà dove. In una buia città orientale, fra take away dalle insegne al neon che emanano odori di ogni tipo, sotto un cielo che non si vede perché coperto da ogni sorta di infrastruttura metallica, in mezzo a una fiumana di gente altrettanto insipida, trovo il mio uomo: un tipetto losco, piccolino, dall'aria pericolosa, gli occhiali scuri e l'impermeabile neutro.
Entriamo in uno di questi take away e ordiniamo un'insalata con i gamberi. E' talmente grande che non riesco a finire di mangiarla. Anzi, non riesco neanche a tenerla nel piatto, e devo andare a raccattare le foglie con le bacchette per tutto il tavolo. Forse è così grande perché la proposta che ha da farmi è importante: un'esperienza unica. Un viaggio in nave. Per ritrovare me stessa, dice. Vedrai che ti divertirai.
Perché no, dico io. Il mare mi farà bene.
E così, col mio zainetto, seguo l'uomo fino al molo, dove trovo il mio battello e mi imbarco senza pensarci su.
E' bellissimo, con rifiniture curate e l'aspetto tipico di una nave da marinai. Il legno lucido e l'odore del sale.
Raggiungo la mia cabina, che condivido con un'altra ragazza: è regale, imponente, comoda e invitante (la cabina, non la ragazza). Esauste, ci appisoliamo sul letto, sciogliendo le nostre coscienze nei riflussi morbidi delle onde sotto di noi.
Dormo tantissimo, dormo fino a perdere il momento della partenza; e quando ci svegliamo, mi affaccio all'oblò della stanza per capire dove sono. Invano. L'oblò che dovrebbe aprirsi sui flutti mostra invece una scogliera lontana lontana.
Che succede? - chiedo alla mia roommate.
Benvenuta sulla nave volante, - mi risponde lei, felice - vai di sopra a scoprire quali sorprese ti attendono qui sopra.
Salgo le scale e torno sul ponte: stiamo volando. La nave è ancorata metri e metri sopra una baia sperduta. Il panorama è bellissimo da quassù. Ma non faccio in tempo a essere felice di quello che ho trovato che si alza un vento fortissimo: la barca comincia a ondeggiare pericolosamente, e il ponte elegante della nave piratesca che avevo visto poco fa si trasforma in una gigantesco gommone di salvataggio, ai cui bordi ci aggrappiamo per non venire sbalzati fuori dalle potenti onde che arrivano fin qui.
E' maremoto, è dramma. Il vento si insinua ovunque, nei vestiti, nei capelli, nelle nostre voci che gridano ma si perdono nel nulla. E' notte, adesso. Non ci sono più scogli rassicuranti a ripararci dal vento e dalla tempesta. Siamo in mezzo al mare, navighiamo senza meta, sotto un cielo inclemente che ha già deciso i nostri destini.
In lontananza, una costa, un paesaggio verdeggiante, una giungla rigogliosa fitta di fiori mannari dai colori sgargianti, un paese di pescatori blu che forse non vedremo mai.
O forse, in un prossimo sogno.
Dreamed by: Co.
Entriamo in uno di questi take away e ordiniamo un'insalata con i gamberi. E' talmente grande che non riesco a finire di mangiarla. Anzi, non riesco neanche a tenerla nel piatto, e devo andare a raccattare le foglie con le bacchette per tutto il tavolo. Forse è così grande perché la proposta che ha da farmi è importante: un'esperienza unica. Un viaggio in nave. Per ritrovare me stessa, dice. Vedrai che ti divertirai.
Perché no, dico io. Il mare mi farà bene.
E così, col mio zainetto, seguo l'uomo fino al molo, dove trovo il mio battello e mi imbarco senza pensarci su.
E' bellissimo, con rifiniture curate e l'aspetto tipico di una nave da marinai. Il legno lucido e l'odore del sale.
Raggiungo la mia cabina, che condivido con un'altra ragazza: è regale, imponente, comoda e invitante (la cabina, non la ragazza). Esauste, ci appisoliamo sul letto, sciogliendo le nostre coscienze nei riflussi morbidi delle onde sotto di noi.
Dormo tantissimo, dormo fino a perdere il momento della partenza; e quando ci svegliamo, mi affaccio all'oblò della stanza per capire dove sono. Invano. L'oblò che dovrebbe aprirsi sui flutti mostra invece una scogliera lontana lontana.

Benvenuta sulla nave volante, - mi risponde lei, felice - vai di sopra a scoprire quali sorprese ti attendono qui sopra.
Salgo le scale e torno sul ponte: stiamo volando. La nave è ancorata metri e metri sopra una baia sperduta. Il panorama è bellissimo da quassù. Ma non faccio in tempo a essere felice di quello che ho trovato che si alza un vento fortissimo: la barca comincia a ondeggiare pericolosamente, e il ponte elegante della nave piratesca che avevo visto poco fa si trasforma in una gigantesco gommone di salvataggio, ai cui bordi ci aggrappiamo per non venire sbalzati fuori dalle potenti onde che arrivano fin qui.
E' maremoto, è dramma. Il vento si insinua ovunque, nei vestiti, nei capelli, nelle nostre voci che gridano ma si perdono nel nulla. E' notte, adesso. Non ci sono più scogli rassicuranti a ripararci dal vento e dalla tempesta. Siamo in mezzo al mare, navighiamo senza meta, sotto un cielo inclemente che ha già deciso i nostri destini.
In lontananza, una costa, un paesaggio verdeggiante, una giungla rigogliosa fitta di fiori mannari dai colori sgargianti, un paese di pescatori blu che forse non vedremo mai.
O forse, in un prossimo sogno.
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- Io sono Monsters, lei è Co. E questi sono i mostri che teniamo nascosti di giorno e che portiamo a spasso di notte. Presentateci i vostri, ci piaceranno: scriveteci all'indirizzo monstersendco@gmail.com (si scrive come si legge).
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