mercoledì 10 ottobre 2012

Non è un paese per vecchie.


Il fatto che io indossi una specie di pigiama e delle improbabili pantofoline pelose, mentre vado a lavorare in macchina, comincia subito con l’infastidirmi.
Però non mi scompongo. L’aplomb è tutto. E voi non sapete con chi avete a che fare, care babbucce in pelouche.
E tu,  specie di pigiama, ci vuole molto più di una trama ad elefanti azzurri per impedirmi di camminare a testa alta tra la gente. Vedrai.
Ma mentre mi appresto a scendere dalla macchina, in macchina, entra lei.
Una signora anziana, molto anziana. Che apre lo sportello e con movenze soporifere si sistema sul sedile posteriore.  Io la guardo dallo specchietto retrovisore. Lei mi restituisce uno sguardo alla Clint Eastwood, ai tempi di Sergio Leone. Ho una fugace visione di un Clint in abiti da vecchia, con tanto di calza contenitiva e borsetta vintage. La cosa non fa una piega se accostiamo questa immagine a me che guido in pigiama elefantiaco.
Potrei andare avanti a fare accostamenti inquietanti ancora a lungo, se non fosse che la vecchia mi tira fuori un’arma dalla borsetta e me la punta alla testa.
Io l’avevo detto, una citazione di Sergio Leone si porta sempre dietro la sparatoria.

- Metti in moto e accompagnami al mio paese.- mi dice, mentre un accenno di Parkinson fa tremare vistosamente la bocca della pistola a pochi millimetri dalla mia tempia.

- Signora, non può prendere un taxi?- 

È la mia dignità a parlare. Anche se il suo dito instabile su quel grilletto mi spaventa, stiamo pur sempre parlando di un'ultraottantenne che sta cercando di sequestrarmi. Che diamine.

- Signorina, lo sa quanto prendo di pensione? Secondo lei posso permettermi un taxi? In questo Paese […] dove gli anziani vengono lasciati a loro stessi! E poi le sembra il modo di rivolgersi […] ? Io ho visto due guerre, sa […]? -
  
Non ha tutti i torti. Mi viene voglia di proporle un affare. Abbiamo l’arma. Abbiamo la follia. Potremmo andare a svaligiare una banca, così, su due piedi pantofolati.

- Metta in moto e si sbrighi. Ci vogliono 200 km per arrivare al mio paese. E alle 2 comincia Uomini e Donne. -

Eh no. Questo no. Essere minacciata di morte per tenere alto l’audience di Maria de Filippi è troppo.

- Che ne dice se la lascio alla fermata dell’autobus?-

- Va bene.-

Finisce così. Con un “va bene”. Mi sembra chiaro che se questa sceneggiatura arrivasse sulla scrivania di Tarantino, verrebbe buttata nel gabinetto, nonostante le citazioni a lui care. Alla fermata dell’autobus, guardo la vecchietta uscire e allontanarsi con passo malfermo, ma fiero.
In qualche modo, sento un moto di simpatia. Tra cercare di tenere alto l’orgoglio in un nugolo di elefanti azzurri e conservare la propria dignità quando neanche un’arma ti impedisce di essere abbandonata a te stessa, il passo è breve.

In fondo, per un pugno di chilometri, quel passaggio avrei anche potuto darglielo.

Dreamed by: Monsters

mercoledì 11 luglio 2012

L'immenso boh, di Parco Cane.


L'ambiente è spoglio, bianchiccio, grigio topo albino, quasi da muratori che non hanno finito di lavorare. A voler fare i colti a tutti i costi e nei sogni queste cose si fanno eccome, ricorda l'ambiente di un'installazione di Fischli - Weiss.
Uno schermo illuminato dietro la mia spalla destra, una platea di sedie e persone dietro la mia spalla sinistra.
Io in mezzo, di profilo. Non guardo lo schermo e neppure la platea, osservo con una certa noncuranza il muro davanti a me.
Comprendo perfettamente che stia andando in scena uno spettacolo che quelli in platea guardano in silenzio. Ma non so di quale spettacolo si tratti e di che cosa tratti.
Tra l'altro, non c'è audio, il silenzio si muove nel cono di luce che il proiettore dietro la platea irradia verso me e verso lo schermo, che di luce ne ha troppa. Più che bianca pare morta e risorta, quella luce.
Io sono lì in mezzo, in pieno spettrogramma proiettato verso lo schermo. Resto fermo cercando di non disturbare perchè sono in mezzo agli occhi degli altri.
Ma non ce la faccio e provo a spostare, di poco, la sedia verso l'altro muro, quello che sta di fronte alla mia schiena, quello che regge il confronto con la mia colonna vertebrale.
Nel farlo, nel muovermi, sorrido con imbarazzo verso la platea. Che non fa una piega, anche perché non percepisco alcuna presenza umana.
A rivoler rifare i colti a tutti i costi e nei sogni queste cose si rifanno eccome, ricorda la performance di Marina Abramovic, il Method.
Comunque, mi sposto di qualche centimetro, ma la luce morta e risorta è sempre lì.
In effetti, tutto è lì e nient'altro esiste.
Improvvisamente realizzo dove mi trovo: non so dove.
E non mi piace affatto.
Ecco perché mi sveglio.


Dreamed by; Parco Cane






mercoledì 6 giugno 2012

La torta galleggiante.

Gira che ti rigira mi ritrovo sempre qui, in questa villa con l'ingresso troppo alto e le stanze da letto troppo basse. Pare che stavolta ho perso la famiglia e sono stata adottata da degli zii mai visti. In verità non li vedo neanche adesso, ed è probabile che non li veda nessuno da un po', perchè questa villa è veramente fatiscente. Il giardino è la cosa che mi fa più impressione: rami secchi ovunque, piante moribonde, foglie sparse dappertutto.
La villa è recintata su tutti i lati: i giovani del villaggio sono piuttosto irrequieti e bisogna proteggersi.
Decido comunque di andare a fare un giro in paese per andare a fare la spesa al mercato.
Mi guardano tutti male: sono vestita troppo bene per loro. Troppo ordinata, troppo bon ton. Gruppetti di punk mi squadrano da capo a piedi come se fossi una criminale. Tutte le borchie sono puntate su di me mentre faccio i miei acquisti e torno di buona lena verso il cancello di casa, dove una guardia del corpo grande e grossa protegge l'ingresso. Dalla rete che mi separa dall'esterno sbircio quei ragazzi, e uno ricambia il mio sguardo con interesse: è uno dei punk di prima.
Mi sembra di riconoscerlo. Ah si, è Joe Strummer. Pensa te. Con un complicato sistema di segnali non verbali gli faccio capire che lo aspetterò in giardino quella sera, appena cala il buio.
Devo preparare qualcosa di speciale per il mio appuntamento punk: credo che la mia famosa torta galleggiante potrebbe andare bene.
La ricetta è semplice: basta fare una gigantesca torta al cioccolato, farcirla di cioccolato, ricoprirla con una delicata glassa al cioccolato e guarnire con abbondante cioccolato. Ciliegina sulla torta, qualche spruzzata di cioccolato qua e là. Anche in cucina. O meglio in giardino, che io cucino qui per terra, mica in quella cucina zozza e trasandata. Lasciar riposare qualche secondo e poi tagliare la torta in porzioni da, diciamo, 5 centimetri a lato, perchè la torta tonda che avete fatto si è trasformata n una teglia di brownies quadrati e molli.
Prendete i quadrati molli e appoggiateli delicatamente sulla superficie dell'acqua della piscina. Lasciateli galleggiare allegramente dopo aver messo su ognuno di loro una candelina accesa: l'atmosfera è fatta.
Appena in tempo, perché Joe sta per arrivare: sento che qualcuno sta scavalcando la rete metallica. Dev'essere lui.
Come minimo dovrei offrigli un pezzo di torta. Ma sono tutti al centro della piscina adesso, e non riesco a recuperarli. Dovrò usare questo retino sporco di alghe.
Le alghe non stanno bene con la torta al cioccolato, pensa una metà del mio cervello.
Chissenefrega, pensa la metà punk del mio cervello.

Dreamed by: Co.


venerdì 1 giugno 2012

Pesticidi, di Parco Cane.





Oh.
Ho sentito bussare alla porta e ho aperto.
Ho visto nessuno e ho richiuso la porta.
Ho risentito bussare e mi sono risentito anch'io nel riaprire la porta e non vedere nessuno per la seconda volta.
Ho richiuso.
Ho risentito (bussare).
Ho risentito pure me medesimo (più di prima).
Ho riaperto.
Ho richiuso (nessuno fuori, ovvio).
Ho risentito (bussare).
Ho risentito (me bestemmiare).
Ho rinunciato ad aprire.
Ho risentito (ribussare, ovvio pure questo).
Ho rialzato il deretano dal divano.
Ho anzi no riaperto.
Ho risentito (le parolacce sgorgare felici e piene dalla mia gola spalancata davanti alla porta chiusa).
Ho capito che devo fissare la persiana che di notte sbatte e mi fa fare sogni ripetitivi.


Dreamed by: Parco Cane.

martedì 22 maggio 2012

Il dinosauro camuffato.

Ma che bel mare! Ma che bella scogliera! Ma che bello stormo di gabbiani!
Che brezza deliziosa! Che atmosfera vacanziera, solare e allegra!
Penso proprio che scalerà questa bella roccia, si, e andrò a vedere il picco da cui i gabbiani si tuffano in mare.
Voglio vedere i loro culetti pennuti spiccare il volo sul vuoto e planare delicatamente sulle onde del mare.
E in cima alla roccia, che sorpresa! C'è un intero nido di gabbiani! Che meraviglia!
Penso proprio che estrarrò la mia macchina fotografica dallo zainetto e coglierò il momento in cui uno dei questi piccoli pennuti viene al mondo.
Ma quanti gabbiani, eh, qui intorno. Si avvicinano a me e mi guardano curiosi. Che teneri! Mi hanno accolto come una di loro!
Ma guarda, laggiù ce n'è uno più grosso degli altri. Ecco che si avvicina. Che carino, com'è bianco e panciuto!
Ora è proprio vicino a me. Lo vedo bene. E noto che c'è qualcosa di strano.
Apre il becco, e in fondo alla gola c'è qualcosa. E non è un esofago. E' verde.
La faccia da gabbiano comincia a lacerarsi intorno al becco che si spalanca sempre di più, fino a rivelare la bestia feroce nascosta al suo interno. Un dinosauro! Vero! In squame ed ossa!
E furbo! Si era travestito da gabbiano per divorarsi indisturbato tutto il popolo della roccia.
Che simpatica canaglia!
Penso proprio che, zitta zitta, mi allontanerò lasciandolo indisturbato alla sua strage. Così, per non rischiare di essere morsicata per sbaglio anche io, che di gabbiano ho ben poco, ma poco importa, lo sanno tutti che ai dinosauri piacciono le turiste con la macchina fotografica nello zainetto.

Dreamed by: Co.

venerdì 11 maggio 2012

Vetro.

 
Mi dicono che l'acqua è fredda ma io so che non è vero. 
Mi basta guardare di sotto, attraverso il verde che diventa blu che diventa verde per capire che quest'acqua mi accoglierebbe come un nido. 
La nuotata del secolo. Non posso rinunciare. 
Mi dicono che è fredda. Che non c'è tempo. Che siamo fuori stagione. Che il salto è troppo alto. Che non ho il costume. Che mi verrà un raffreddore. Che é notte fonda (e non lo è). Che mi multeranno. Che sono solo una piccola capricciosa bagnodipendente.

Va bene, lo sono, arrestatemi. 
Ma io questo bagno lo faccio.
Pluff. 
Oh sì.
Se dovessi scegliere ora, questa è l'unica sensazione che mi porterei nell'aldilà. E, non c'è neanche bisogno di dirlo, la temperatura è perfetta. 
State bene voi, lì sopra, intrappolati nei vostri abiti stirati. State bene voi, con i vostri capelli fonati.
Qui sotto invece è tutta nudità e scompiglio e capriole e bollicine. 
Statemi bene, voi.
E poi qualcosa mi punge. Di certo una medusa, ma che importa, piccola creaturina del mare non ce l'avrò mai con te. E quando esco dall'acqua mi guardo addosso e vedo una  zona arrossata sull'indice della mano destra. Passerà. Ma in breve il rossore si trasforma in una macchia netta, rosso fuoco, con un contorno nero ben definito, come un tatuaggio. Passerà, mi dico ancora. Poi la macchia si estende alle dita vicine e poi all'altra mano e in un attimo è come se avessi due bei guanti rossi. Passerà? E i guanti rossi diventano sempre più spessi e ruvidi, cambiano colore, si trasformano in un mosaico psichedelico a forma di mani e forse dovrei cominciare a preoccuparmi. 
Ma tutto questo è così curioso che non c'è spazio per l'angoscia. E se non passa, mi terrò le mie mani psichedeliche. 
E ora, un formicolìo. Forse le mie mani vogliono uscire. 
La corteccia lisergica comincia a creparsi qua e là e all'altezza del dito medio, ecco che si sbriciola.
Solo che, sotto, il mio dito medio non c'è più.
La paura mi colpisce con un gancio ben assestato e per poco non finisco ko.
Nel giro di pochi secondi, tutto è polvere e briciole e le mie dita, tutte e dieci, andate.
Un montante in pieno volto e l'incontro è finito. Le mie mani finite. La curiosità finita.
Ma il sogno no.
Perchè arriva il deus ex machina. Di cui non ricordo niente, ma non importa ai fini della storia. 
E il deus ex machina, come è normale che sia, ha la soluzione.  
Dita di vetro. Esattamente. Lui le costruirà per me e io avrò di nuovo le mie mani. 
L'ultima cosa che passa per questo sogno è quel rumore, tin, tin, tin. 
Le mie nuove dita di vetro trasparente, montate su mani di carne, che tintinnano su un tavolo di legno.
E vi assicuro che le mie tintinnano. Le vostre possono al massimo tamburellare.  

Dreamed by: Monsters

martedì 24 aprile 2012

L'alieno poliposo.

Che poi, uno dice, la storia è sempre quella.
Gli alieni invadono la terra, rapiscono qualche esemplare, la stessa storia di esperimenti scientifici su corpi umani, qualche sparaflashata per dimenticare tutto, e nel frattempo puf, la terra sparisce dal planisfero della galassia.
Uno dice, stessa storia. Si, ma quando ci sei in mezzo tu, permettete, è un po' diverso.

Io qui con gli alieni non ci sto mica tanto bene. Sono viola, viscidi e sembrano dei grandi poliponi sudati. Grandi, giganteschi poliponi. A dire la verità hanno tutti colori diversi, ma io ne vedo sempre solo uno, per questo penso che siano tutti viola.
E' un alienone crudelissimo. Non solo ha fatto su di me esperimenti raccapriccianti, ma mi ha anche nominato capo esperimento: il mio compito è coordinare gli esperimenti sugli altri umani.
Quelli rimasti vivi, si intende.

Ora, quelli si lamentano e si lamenta pure polipone: gli uni vorrebbero smetterla con queste iniezioni, l'altro dice che battiamo la fiacca. In un batter d'occhio mi trasformo in una specie di sindacalista della materia oscura, e vado dal mio caro violoncello spaziale a cantargliene quattro.

Senonché il grande mostro se ne sta alla finestra a guardare quell'angolo di cielo in cui doveva esserci la Terra, e guarda caso non c'è più.
Ma porca Eva. Non puoi distrarti un attimo che ti fanno fuori il pianeta.
Sono ancora più incazzata. E qui segue il dialogo tra me e viscidone intergalattico.

"Hey, tu. Ma come cazzo ti è venuto in mente di farmi saltare il pianeta?"
"Lo sapevi che sarebbe successo. Io ti ho salvato, e ti ho dato anche delle responsabilità."
"Si polipone, ma tu non capisci: a me manca casa. Rivoglio il mio pianeta!"
"Faceva schifo e lo sai."
"Hai ragione: era pieno di stronzi. Ma c'erano anche delle cose belle sopra."
"Fammi un esempio"
"Il mare quando piove, ad esempio. Il tramonto in piscina con un bicchiere di vino in mano. I dischi degli Oasis. Tornare a casa dalla mamma e trovare il frigo pieno. Prendere l'aereo e atterrare nella giungla asiatica. Le scimmie quando si mettono in posa per una fotografia. Non so, comprare le scarpe. Insomma, ce n'era di robe. E tu, niente, bam, sparito tutto."
"Dovevi dirlo prima, adesso è troppo tardi."

Polipone, vorrei che tu avessi le palle per amputartele, ma le tue poche parole mi hanno fatto sorgere dei dubbi amletici.
E poi si, in fondo era pieno di stronzi.

Dreamed by: co.