giovedì 17 febbraio 2011

Il jet set

Sono in un posto che potrebbe essere una camera d'albergo. Un albergo piuttosto lussuoso. Tende drappeggiate, tavoli di mogano, legno scuro per terra. Sono lì con tre persone, non ne riconosco neanche una, anche se ho l'impressione che siamo due coppie. Stiamo per fare una colazione luculiana, i nostri piatti strabordano di uova e pancetta, fette di pane caldo, piccole salsicce abbrustolite. Poi qualcuno entra. E quel qualcuno è Barak Obama. Si avvicina al tavolo dove siamo seduti come se niente fosse e si rivolge all'uomo che è con me. Parla in modo gentile, ma molto fermo. Gli dice che è successo qualcosa, c'è stato un incidente diplomatico in cui lui, l'uomo che non riconosco, è coinvolto. In modo grave, sembra. A questo punto, gli altri due personaggi che sono con noi, si defilano silenziosamente. Rimaniamo soli nella stanza, io, lui e Obama. E io faccio l'indifferente, mi guardo intorno come se pensassi ad altro, mentre invece so che sto per venire a conoscenza di un segreto di stato, di una verità sconvolgente, di un intrigo internazionale di cui la gente comune non saprà mai nulla. E tutto, condito da una colazione succulenta. Sono una privilegiata, al posto giusto, al momento giusto. Mi pregusto il momento della verità. Ma ovviamente, sul più bello, mentre Obama sta per svelare il segreto del secolo, mi guarda e con molta gentilezza mi chiede di lasciare la stanza. Ecco. Mi alzo controvoglia, afferrando al volo una salsiccia dal piatto. E io che pensavo di fare parte del jet set.


Dreamed by: Monsters

mercoledì 16 febbraio 2011

I mestieri.

Questa casa non è un albergo; però sicuramente è un porcile.
Santo cielo, quant'è che non facciamo le pulizie? Raccatto la mia coinquilina e ci mettiamo la divisa delle grandi occasioni: fiocco in testa, guanto di gomma, spazzolone.
E via, scattare, come piccoli soldati antiacaro.
Dopo due ore siamo ancora alla cucina, il che è strano perché di solito ci vuole molto meno tempo; sarà per il fatto che questa casa è molto più grande di come me la ricordavo. Cazzo, sarà almeno dieci volte più grande.
E questa... aspetta, questa non è la mia cucina. Queste sono le cucine interrate di un edificio molto più grande.
Ecco perché fa così buio.
Ma questo non spiega perché pulisco con una scopa di saggina, invece che con un aspirapolvere.
Salgo le scale e lo scopro: stavo pulendo con doveroso olio di gomito le cucine di un castello.
Ma non posso perder tempo in queste cazzate; devo pulire, ed è il momento dei bagni.
Apro la porta e in bagno c'è Mike Patton. Che canta. Nel suo frac bianco.
Pensavo che il giorno che l'avrei incontrato in sogno sarebbe stato un sogno erotico.
E invece non lo è.
Ecco, è qui che comincio a pensare che c'è qualcosa di veramente strano.
Dreamed by: Co.

venerdì 11 febbraio 2011

Il Matrimonio.

Tutto è pronto. Nella stanza della torre più alta del castello troneggia il mio vestito bianco.
Scendo le scale per controllare i preparativi della grande feste che seguirà la funzione nella cappella: nei sotterranei, il grande salone dalle colonne di pietra è addobbato per un ricco banchetto. I paggetti corrono qua e là portando grandi vassoi e candelieri pesanti, mentre al piano di sopra gli invitati cominciano ad arrivare. Cappotti, poltrone e tappeti sgargianti si mescolano in un'unica visione psichedelica.
Forse sono solo nervosa, e corro a rinfrescarmi il viso in bagno. Strano, questo bagno; più che il bagno di una torre medievale sembra la palestra di un liceo. I sanitari in acciaio invecchiato, il buio, l'odore rancido e i neon intermittenti riempiono questa stanza spoglia. Come me: appena mi guardo allo specchio, rabbrividisco.
Oh mio Dio, ma cosa sto per fare?
Torno nella mia stanza. Mia madre mi aspetta, in un fruscìo di tulle e veli d'organza. Mamma, mi dispiace. Non posso. Ma lei lo sa già. E mentre lei scende dalle scale intromettendosi tra me e i miei ospiti, e rallentando l'arrivo dei miei futuri non suoceri, colgo l'attimo e scappo.
Sarà lei a spiegare tutto al mio futuro non marito. Nei suoi occhi c'era la consapevolezza di chi ha già capito.
Nei miei, il riflesso di una lunga strada tra boschi e prati di montagna, mentre mi fermo al distributore a fare il pieno alla mia decappottabile, coperta da un enorme paio di occhiali da sole e un foulard di seta attorno al collo, come una diva hollywoodiana.
Libertà. Per un attimo ho creduto di averti perso.

Dreamed by Co.

martedì 8 febbraio 2011

Il ritorno

Sto tornando a casa. La prima. Quella dei miei genitori. Quando arrivo loro non ci sono. So che torneranno, nel frattempo ho la chiave per entrare. Una chiave piccola, storta, marcia: è difficile farla entrare nella serratura. E quando ci riesco si spezza. Non sono sola. C'è un uomo con me, nel sogno sembrerebbe un fidanzato. Avrà più di 50 anni e ho la sensazione che la sua presenza mi pesi addosso in maniera insostenibile eppure non ho il coraggio di dirglielo. Sono io che l'ho portato con me, nessuno mi ha costretto. Poi, sono in una stanza con il letto sfatto. Forse ci ho dormito, con lui, forse dovrei mettere in ordine prima che i miei tornino. Forse dovrei risparmiare almeno a loro certe verità di cui io stessa mi vergogno: ho dormito in casa loro con un uomo che ha 30 anni più di me, che per quanto mi riguarda potrebbe essere un perfetto estraneo e che naturlamente non amo, neanche un po'.  
All'imporvviso mi rendo conto che la casa è allagata, sul pavimento ci saranno 20 cm d'acqua, mi arriva alle caviglie, in piccole onde, bagna ogni cosa. Ma che sta succedendo, così non va. 
La chiave spezzata, la casa allagata, il letto sfatto, e un uomo che potrebbe essere mio padre e che mi infastidisce terribilmente e che mi porto dietro e non so perché. Che disastro sono, che delusione. 

domenica 6 febbraio 2011

Il parto.

Sono incinta. Il termine è vicino, e io sono dominata dalla paura.
Ma la mia pancia è grandissima e non posso più sopportarla. E' talmente grande che si intravvedono, in rilievo, le fattezze del bimbo che porto dentro: i piedini, le manine, anche la testolina.
Però questo bimbo è dispettoso, e non vuole saperne di mettersi nella posizione giusta. Forse perché qui dentro sta bene. Ma questo mi costringe a un parto cesareo, proprio quello che volevo evitare.
Non ho alternative, devo andare. Partorire oggi è come una catena di montaggio: io e tante altre giovani mammine stiamo sedute in fila diligentemente, in sala d'aspetto, in attesa del nostro turno, fasciate da questi camici verde melma e con pance più grandi di noi.
Ovviamente ho fame.
Quindi percorro i corridoi in cerca di una merendina, ed ecco che accade l'improbabile: mentre salgo un'antisettica scala a chiocciola, il mio bimbo esce dalla mia pancia, come uno spirito, e comincia a fluttuare vicino a me, dicendomi di non avere paura e che vuole venire fuori. E' al mio fianco, sospeso a mezz'aria, mentre raggiungo il distributore automatico, mentre prendo il prezioso pacchetto, e mentre scendo con fatica le scale.
Poi, appena posato il piede al piano giusto, il mio bimbo torna nella mia pancia, riprende la sua forma materica dentro di me, e io sento nuovamente il peso di questa creatura che vive e si agita tra le mie viscere.
Torno al mio posto. C'è mia mamma a tenermi compagnia.
E mi fa notare che ho dimenticato la cosa più importante: di questo bimbo, non so nemmeno il nome.

Dreamed by: Co.

giovedì 3 febbraio 2011

Il letto volante

Sono per strada. Cammino. Un motivetto mi rigira in testa, forse fischietto. Poi senza motivo guardo in su, e allora lo vedo. Un punto nel cielo terso che si avvicina a velocità supersonica, espandendosi come una macchia d'olio in mezzo a un blu perfetto. Guardo meglio. Che diavolo è. Ok, adesso lo vedo e non può essere. È un letto. Che cade dal cielo a piombo come un uccello morto, esattamente sopra di me. La gente intorno urla, indica, si allontana. E io sono l'unica a non muovere un dito. Posso solo restare a guardare questa cosa improbabile che mi sta franando addosso. Sta succedendo a me, penso. Ora muoio. E mentre penso succede. Il letto mi frana esattamente addosso in un frastuono irracontabile, tra lo sconcerto e l'orrore della gente. Sono morta spiaccicata da un letto volante. E invece no. Sono viva. Mi rendo conto di essere distesa, perfettamente incastrata nello spazio vuoto tra l'asfalto e la base del letto. È come se mi fossi nascosta sotto. Sento l'odore del legno che emana dalla struttura pesante, un lembo di lenzuolo che penzola e mi copre la visuale. Sono viva, illesa e quasi sorrido. Non mi avrai, letto volante. 


Dreamed by: Monsters

lunedì 31 gennaio 2011

Il tatuaggio.

Sono sotto le mani di un tatuatore.
Ancora.
Non vedo cosa sta facendo; dietro le mie spalle sento solo il ronzìo della macchina, e il lieve incidere dell'ago sotto la mia pelle. Sento del liquido colare sulla mia schiena, sacra cascata di inchiostro e sangue, in una visione mistica che immagino tinta di rosso.
Nessuno specchio, nessun disegno.
Quando mi alzo, non mi rivesto: qualcuno saprà raccontarmi quale segno indelebile troneggia stavolta sulla mia schiena.
Fa caldo fuori, un caldo tremendo. Nessuno fa caso al fatto che sono mezza svestita. Nessuno dice nulla. Nessuno mi guarda. Forse sono trasparente.
Nel dubbio, decido di mangiare un gelato. Mi fermo vicino a una fontana e comincio a mangiare guardando la folla. Finché qualcuno si ferma, mi guarda e mi dà uno specchio.
Sulla mia schiena, un gigantesco tribale nero, che copre come un paio di ali atrofiche l'intera apertura delle mie spalle.Cancellando la rosa che c'era prima.
E io mi chiedo che fine ha fatto il mio passato, cancellato dalle linee squadrate e pulite di un presente senza sofferenza ma anche senza significato.
Dreamed by: Co.